Scartata l’ipotesi suggeritami da Giuseppe che prevede la discesa fino in fondo alle gole del Bussentino per poi rientrare sulla SP 16, decidiamo di proseguire sulla comoda arteria per coprire il tratto che ci separa da Vibonati.
La discesa che, con qualche tronante, ci conduce fino al ponte sul fiume Bussentino. Poi la strada risale fino al quadrivio dove c’è l’incrocio per Torraca. Arrivare in cima al colle da dove si dipana la matassa di strade che conducono al Golfo di Policastro è una sensazione forte per chi non vede il mare da 11 giorni. Scegliamo di andare a destra ad incrociare la SP 210 sulla vecchia strada per Vibonati. Il bosco di pini che chiama ad allegre scampagnate in aree attrezzate, ci convince a fermarci per consumare un panino per rifocillarci. Non calcoliamo il tempo che ci vuole per arrivare Vibonati. Vi entriamo da una stradina che ci evita di fare un’altra ansa di strada provinciale, che attraversiamo più in basso per proseguire sulla cresta a “Sella d’asino” che guida il viandante sulla dorsale fino all’altro capo del borgo incantato.
Dall’alto, sono uno spettacolo le cascate di case addossate alla collina a destra e sinistra che declinano a valle. Come è una goduria sopra intendere all’immensità dello spettacolo concesso dal colpo d’occhio sul golfo di Policastro che si perde all’orizzonte.
Ma Vibonati, non delude le attese nemmeno quando si è dentro il borgo … Dopo aver imboccato la strada in cima al paese, la si percorre fino in fondo in contrada “Castanella”. Si tratta di una stretta arteria racchiusa in una cornice di abitazioni che alternano a pretenziosi portali di varie epoche, case comuni ma non “comuni” in quanto sono tutte personalizzate e resa uniche da chi le tiene in vita per viverle. Ogni tanto si apre uno slargo e compare una chiesa o una piazzetta con una fonte d’acqua pronta a dissetare il passante. Come in tutti i nostri paesi, molte porte e finestre sono chiuse ma mantengono un loro decoro.
L’imponenza del santuario di Sant’Antonio da Padova si svela alla fine di una breve salita. Orgogliosa, la chiesa da, con l’abside, le spalle al mare e il portale volto all’aurora.
Continuando nella discesa, altre chiese e palazzi danno l’idea di un centro che, a suo tempo, si è fatto valere sia nel commercio sia nel ruolo amministrativo svolto nei confronti di tutte le comunità del golfo.
Usciamo dal paese imboccando una strada alternativa alla provinciale che ci porta a valle dove su un comodo marciapiedi, possiamo camminare rilassati in attesa di giungere all’appuntamento con il mare che, siamo certi, ci aspetta sul lungomare di Villammare per aprirsi al nostro desiderio di farci riconoscere come amanti che hanno solo deviato ma non tradito il patto d’amore che stipulammo in tempi non sospetti.
Il cammino di oggi è alla fine. Intravedo il ponte sulla ferrovia, sento il frastuono della gente che si crogiola sotto i primi caldi di primavera. Ritorniamo a vivere la quotidiana faccia della vita che cerca di essere attiva tra commercio, servizi e chiacchiere sul banale avanzare del tempo. Sul lungomare, passando sotto un arco, dove la brezza accarezza il volto e seda la stanchezza, ci prepariamo ad un simbolico tuffo rigeneratore.
Una bandiera blu mi appare di fronte, il mare non fatica più di tanto a bagnare la ghiaia sulla riva. È quasi ora che i forzati dell’ombrellone tornano si avviano ai tavoli per pranzare.
Anche noi ci Io mi tuffiamo nell’acqua a suggellare la fine, per oggi, del nostro camminare che ci ha condotti sulla spiaggia che vide sbarcare un eroe, d’altri tempi, che credeva di poter impiantare qui la bandiera della riscossa e della libertà per costruire un’Italia una ma anche giusta, Carlo Pisacane.
Bartolo Scandizzo