di Lucio Capo
Se manca la stazione manca la speranza, la vita, il viaggio, la conoscenza.
Dieci anni senza la Stazione di Capaccio-Roccadaspide. Settanta anni senza lo Scalo-Capaccio. Già nel suo nome era insita una strategia economica e di crescita comune. La Stazione di Capaccio-Roccadaspide proiettava una visione territoriale che andava oltre la Chora, serviva parte fondamentale dell’area della Valle del Calore ed oltre, definiva una idea di società e di servizio ferroviario diffuso e popolare, creava socialità e possibilità d’incontro. Un tempo eravamo tutti giovani, belli e stupiti nel vedere il treno fermarsi alla Stazione. Ora siamo solo stupiti nel vederlo passare senza fermarsi. Eravamo tutti giovani e belli agli inizi degli anni ’80 e aspettavamo il treno nell’angusta sala d’attesa della Stazione di Capaccio, senza preoccuparci di fare il biglietto dal tabaccaio, bere il caffè di corsa al Nazionale o comprare velocemente il giornale all’edicola della signorina Farro. Alla stazione, di Capaccio c’erano tutti, dal barista al giornalaio, dal ferroviere al capostazione, dalle matricole alle laureate. “…Alla stazione c’erano tutti dal commissario al sacrestano, alla stazione c’erano tutti con gli occhi rossi e il cappello in mano. E alla Stazione successiva molta più gente di quanto partiva…(cit.)”. E c’era Lei, viso di porcellana ad incorniciar occhi neri di pece, portamento indomito, lunghi capelli ricci che le accarezzavano le gote e le spalle fin oltre la curva del fondo schiena. Ora tutto è compiuto, tutto è finito, senza più Stazione, senza luogo dove ripararsi dal freddo e dai propri affanni, come cani nella tormenta fradici e infreddoliti, aspettiamo il treno, lungo la strada ferrata. Pendolari, lavoratori, depressi ad incontrar il proprio passato, fidanzate verso i loro amori, disoccupati, studenti, mamme incinte che trascinano lungo tunnel di piscio e per scale viscide carrozzine con pargoli dormienti, pensionati, turisti e viaggiatori, agognano partenze, su una banchina buia, al patire di raffiche di vento e scrosci d’acqua gelida. Gli “Stazionati” chiusi nei loro paltò, maledicono tutti quelli che costruiscono treni superveloci per pochi, che aspettano, spensierati, seduti in comode poltrone, in accoglienti salottini, il momento dell’imbarco avvisati da soavi annunci.
Treni di lusso per femmine pittate e uomini incravattati, treni pieni di signori e signorine che sfecciano da città a città, fottendosene di chi abita nei paesi e nei “villaggetti”. Il piano di ridimensionamento e chiusura delle “Piccole Stazioni” promosso da Rete Ferroviaria Italiana e Trenitalia produce gravi danni al territorio. La parola d’ordine dei soloni delle F.F.S.S. è una ed inderogabile, chiudere, chiudere, chiudere, nell’assordante silenzio complice degli amministratori locali, che sanno solo blaterare di turismo e sviluppo, ma non si preoccupano minimamente di far arrivare, in treno, i turisti a Paestum, ne di offrire servizi di trasporto adeguati ai propri cittadini, tutto a scapito del popolo e della mobilità sostenibile. Capaccio Scalo è stata relegata a semplice fermata senza più servizi, senza sicurezza, con più incuria, più abbandono, più squallore, ridotta a lugubre banchina invece che accogliente Stazione, da sempre insostituibile presidio territoriale. A rincarare la dose, sul degrado della stazione di Capaccio-Roccadaspide, le parole del Sindaco: “ Né può sottacersi la condizione di degrado e di pericolo per la pubblica e privata incolumità riveniente dai danni strutturali e statici, evidentissimi, del fabbricato adiacente la stazione e dell’ex magazzino merci. Ancora più degradata e pericolosa è la situazione del casello 21 a Paestum”. Con la chiusura della Stazione di Capaccio-Roccadaspide si è voluto punire consapevolmente la Città Antica di Paestum, nella totale noncuranza delle istituzioni locali. La Stazione di Capaccio-Roccadaspide l’hanno chiusa, fatevene una ragione, arrangiatevi, e se volete farla riaprire è inutile che vi rivolgiate al Ministro. Dovete rivolgervi al Sindaco, che potrebbe chiedere aiuto al Vicesindaco di Atena Lucana, Sergio Annunziata, e, farsi spiegare come ha fatto ad avere avuto gratis dall’Agenzia del Demanio gli immobili della Stazione di Atena Scalo. Felice e soddisfatto della transazione il Vicesindaco Annunziata ha dichiarato: “ Con l’acquisizione degli immobili dismessi dalla ferrovia e dei beni del Demanio dello Stato, il Comune di Atena Lucana è diventato più ricco, l’operazione è stata possibile grazie alla legge 98/2013. Per tutto l’iter è duopo ringraziare l’avvocato Pierpaolo Russo, responsabile dell’Ufficio Servizi Territoriali dell’Agenzia del Demanio, l’ingegner Antonino Cianniello per la professionalità, la celerità e la competenza e il dott. Dario Di Girolamo dell’Agenzia del Demanio per la sua cortesia”. Se le cose non si sanno è bene che si sappiano. Noi rimaniamo lì, fermi, immobili, ad aspettare l’ultimo treno che ci porterà via. Incantati, staremo lì, a mirare Il sole che continuerà ad illuminare la teoria dei binari convergenti. Malinconici, nelle notti tiepide d’agosto, scruteremo la luna far l’amore, con il luccichio argenteo dell’unica locomotiva rimasta, che avanza lentamente lungo la pianura. “…Corre, corre, corre la locomotiva…si fa PER DIRE… e sibila il vapore, sembra quasi cosa viva e sembra dire ai contadini curvi, il fischio che si spande in aria, “Fratello non temere perché corro al mio dovere, trionfi la giustizia…FERROVIARIA…(cit.)”.