di Bartolo Scandizzo “La memoria la chiamavano Mnemosine e la consideravano una dea i Greci …” ed è alla memoria che Peppino Liuccio si aggrappa per andare a scavare, nel ventre lungo della sua esistenza, tesori incastonati negli strati più profondi e indelebili dei ricordi. Ovviamente, si racconta! Con l’esposizione del sé stende sotto i nostri occhi “i panni” che lo hanno vestito per una vita e che non ha mai dismesso, nemmeno quando è salito in cattedra sia a scuola sia come giornalista: quei panni li ha sempre avuti appiccicati alla pelle e li ha esaltati in ogni occasione senza mai rinnegarli né relegarli in un album di ricordi. “Ienestre, cerasa e vasi” è un racconto che riporta anche molti di noi ad un’epoca messa in soffitta dal tempo che passa, ma che fa bene all’anima ricordare per evitare che quel timbro impresso sulle nostre vite non sbiadisca del tutto. Fa bene anche perché già il titolo (IENESTRE, CERASA E VASI) in tre parole ci racconta il mondo contadino che camminava a tesa alta fiero dell’ambiente selvaggio come le ginestre, delle piante coltivate come il ciliegio e dei baci d’amore che univano per poco o per sempre le esistenze. Infatti, non sarebbe stato possibile per Liuccio essere così presente, oggi, al tempo andato se tutto il vissuto raccontato nelle poesie (ma in tutte le sue innumerevoli opere) non fosse incardinato in specifici luoghi, sotto quel ciliegio o appartato a ridosso del portone dove ha baciato e si è fatto baciare … “Co nui nc’era sempe Carmelinana puddastredda nsiemi a tanta addi.E inta lo chiù bello re lo iucose venia accuvà nsiemi co mmicosotta na lamia mbacci no pontoneo inta no catui ch’era scuro”. Né avrebbe potuto quasi farci assaporare i nettari dei frutti, se non avesse trasportato con sé, quasi fisicamente, per sempre il piacere di raccoglierli, consenzienti o no i proprietari, dai rami “Chisto è tiempo re ceuze e cerasare cresommola, pruma e fico a ghiuri”. E poi lo scrive “Io so’ cresciuto co castagne e fico”. Infine, come avrebbe potuto scegliere arbusto, la ginestra, impossibile da trapiantare che imprigiona in sé il carattere spigoloso del Cilentano “So’ ncannaccate r’oro re ienestrele tempe re le macchie mò ch’è giugno” . Si risveglia il bambino che ancora, strenuamente, è presente nell’autore quando ricorda che “Stuto la luce e appiccico li suonni” e ripassa a mente le “giocate” a quei giochi che stiravano la giornata fino a sera “quann’era criaturo e nce iucava a sbattimurmo, a uno nponta l’uno a la semana, a tutti giù per terra e ogni tanto pur’a scova scova”. Liuccio parla al suo cuore e gli impone il silenzio “chisto core vaie a viento e accummenza a smanià non riesce a repusà” perché vuole dormire per entrare nel mondo dei sogni. Un altro punto fermo di Peppino è la mamma. La persona che lo ha cresciuto e lo ha incamminato alla vita. A lei ha dedicato, “Lettera alla madre”, un libro premuroso e riconoscente; nella sua prosa sono immortalati quadri di vita mai sbiaditi: in casa, in campagna, al seguito delle processioni e festa patronali … nell’eterna attesa del marito lontano. È facile immaginarlo mentre la osservarla sott’occhi dal tavolo dove compitava mentre lei era impegnata in cucina o al desco de cucito. Lo stesso ha fatto fino alla fine dei suoi giorni accompagnandola per mano nel di là di venire … Liucco cerca di esorcizzare il divenire affermando nel Lunario della memoria che “in questa mia ultima, spero solo in ordine di tempo, raccolta di poesie … che esprimono stati d’animo: desideri, speranze, illusioni e delusioni, gioie e dolori che registrato i miei ultimi «due lunari» di cuore e di anima”. Ma ha deciso di testamentare, comunque un lascito culturale ad Amedeo e Matteo i suoi nipoti: “Io v’aggia fa lo cunto re na vota quann’era criaturo e ghìa a la scola a lo paese mio addò so’ nato”. Si tratta di un vero viaggio nella sia esistenza che ha fissato in una ninna nanna che mantiene svegli. Dentro c’è l’essenza dell’uomo che ha scritto “Chesta è la Terra mia” dalla “A” alla “Z” : “Lo primo iuorno me nc’accompagnao mamma Michela e me tenia la mano. Io me priava e me la fessiava co lo grembiule ianco com’a neve e co na nocca rossa com’a rosa e na borsa re pezza colorata li quaderni e lo sillabario nuovi l’astuccio co lo labbess e la penna” La poesia è anche una fotografia di Trentinara (ma potrebbe essere adattata ad ognuno dei nostri paesi delle aree interne), ma, ancora una volta, nuota nei ricordi carichi di emozioni : “Mo ca so’ fatto viecchio e spisso torno pe nostalgia r’amore a lo paese vao a lo camposanto addò nce trovo cumpagni re quann’era criaturo ca me rireno mbacci li ritratti.” Ma poi diventa struggente ed anche pungente fino a far male quando trova … “mamma e patrimo e me fermo a luongo sulo sulo e chiacchiareio. Rico ca tengo rui neputi belli e co la capo bbona come a mico. «Ma no le conoscimo, belli a nonna» rice mamma Michela: «Portannilli» «É verità» – reclama nonn’Antonio «Ve lo giuro. Lo fazzo» – Re prometto. Le lacreme me girano inta l’uocchi. Mamma e patrimo rireno felici quanno le lasso a luce re cannela c’accarezza leggera li ritratti.” Sono amico di Peppino da molto tempo. Mi ha sempre onorato della sua collaborazione senza niente chiedere in cambio! Per questo, però, non mi sento debitore! Ma ha un grande credito presso di me per avermi raccontato il suo “piccolo mondo antico” con le parole giuste e con quella passione che mi ha fatto “ritornare” sui miei luoghi della memoria per riviverla con gli occhi spalancati dal suo insegnamento … IENESTRE, CERASA E VASI di Giuseppe Liuccio Galzerano Editore tel&fax: 0974 62028 email: [email protected] Prima Edizione: Aprile 2016 Prezzo: 10 €
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