L’immaginario popolare le ha ribattezzate “Le sette sorelle”.Sono le sette Madonne che dominano e proteggono il Cilento dalle alture dei santuari da Nord a Sud, dalla costa verso l’interno. Dal Calpazio, che s’apre alla pianura, sfuma Paestum a gloria di memorie. E sa di Grecia il mare che traluce. Il sole del tramonto rifrange bagliori alle vetrate dell’antica cattedrale possente sul breve pianoro con il monte Soprano a far da quinta. E la Madonna a mostra di granato, nella conca della mano, contende gara ad Era Argiva, che fu feconda di parti e latte a poppute matrone greche e romane. Giù il fiume zampilla dal cuore del monte ed assicura fecondità ai campi fecondi della piana nel trionfo di frutteti in fiore, di carciofeti a geometria di solchi, di fragoleti a tingere di rosso il bianco delle serre, a seconda delle stagioni.E’ il primo dei santuari al di là del Sele, a testimonianza di trasmigrazione del culto pagano nella liturgia cristiana.
Il Monte Stella è un loggiato sul mare che ricanta a nenia di risacca la tormentata storia d’amore e morte di Leucosia gabbata da Ulisse. Dall’altro lato è ricamo di coltivi a scivolo di fiume: l’Alento sacro alla mia terra. In cima veglia, serena, una minuscola cappella, ferita dalle antenne del progresso (Una vergogna le postazioni militari ad incursione di sagrato!.)Fu meta di pellegrinaggi a ringraziamento per grazie ricevute e segreta speranza di miracoli attesi dal popolo del Cilento Antico, che trova in Perdifumo il suo punto di orientamento. Ebbri di festa, felici di raccolti vi si recano ancora il 15 agosto i fedeli alla ressa di conquista di Madonna a sorriso benedicente. A luglio, nella sera che s’annotta, la brezza sbriglia il bigio degli ulivi e flebile ondeggia a fiamme di candele la processione d’ombre a ricamare tratturo sterrato di preghiera. La Madonna del Carmine, pronuba di grazie, veglia su Velia, che fu già regno di Minerva, algida guida a vergini guerriere. Dalla montagna di Catona la piana ostenta fecondità per le acque del fiume che scorre sonnolento alla foce, un tempo brulicante di traffici e commerci dei Porti Velini. Ed il pensiero corre a Parmenide accigliato, orgoglioso di Pensiero, e a Zenone bello come un dio.
Di fronte la Civitella occhieggia tra i castagni, al saccheggio dei virgulti destinati a croci benedette per propiziare case e campagne. Il “frurion”, avamposto dei Lucani, sottovalutato esempio di archeologia minore, festona sole tenero ai macigni che eternano la grande storia di Elea, che vi disegnò le Vie del Mediterraneo a penetrazione verso l’interno a scambio di prodotti tra terra e mare.
Di rimpetto il Fiume Freddo, all’ombra dei faggeti secolari, rotola a sbalzi a levigare letti ciottolosi. Brilla l’argento a fiotti di fontana a ristoro di pellegrini stanchi. S’impiglia il canto a reti di boscaglia e rauco si spegne al verde delle forre. La cima è conquista di Madonna a memoria di monaci d’Oriente. Il Gelbison è spianata aperta all’infinito, donde il Cilento espone la sua storia di case e chiese al verde di campagne in fuga accidentata verso il mare.
Sul Cervati, a guardia della Neve, la Madonna, contesa da Sanza e Piaggine: a mezza estate le due contrade la venerano insieme ad allegro bivacco per tutta la notte in gara a girotondo con le stelle sul pianoro all’abbraccio con il cielo. D’inverno il lupo ulula alla luna a veglia preoccupata di pastori. Dai