Il periodo è quello che è. Le difficoltà sociali ed economiche sono evidenti, di soldi ne girano pochi e le opportunità di lavoro latitano.
Da qui, però, a ricercare specifiche figure professionali, offrendo lavoro gratuito, un po’ ce ne passa.
Ed è ancora più significativo se a farlo è un ente pubblico.
Sta facendo molto discutere, infatti, l’Avviso pubblico esplorativo della Provincia di Salerno per manifestazione di interesse al fine acquisire la disponibilità di restauratori a titolo gratuito con cui realizzare uno o più progetti di restauro di opere d’arte di proprietà della Provincia.
Nello specifico, nell’Avviso, si legge: “le proposte progettuali e la realizzazione degli interventi non dovranno comportare oneri per l’Ente e pertanto saranno realizzate a cura e spese del restauratore”.
Per cui, non solo lavoro non retribuito, ma eventuali spese saranno addebitate.
E quindi cosa dovrebbe spingere un restauratore a proporsi?
Stando a quanto scritto dall’ente provinciale, la possibilità di farsi conoscere e “farsi pubblicità” e l’attribuzione di una targa.
Inutile dire che la notizia ha sollevato critiche, osservazioni e anche prodotto rimostranze, secondo cui non è accettabile, soprattutto da parte di un ente pubblico, servirsi del lavoro gratuito di professionisti.
Qualche giorno dopo la pubblicazione sono arrivate le precisazioni del presidente della Provincia Michele Strianese.
“Si tratta un semplice avviso esplorativo e non di un bando – ha sottolineato. E’ emersa la necessità di progettare il restauro di alcuni dipinti momentaneamente collocati presso i depositi dei siti museali dell’Ente. Purtroppo, però, le Province hanno zero risorse per quanto riguarda il proprio patrimonio culturale. Per fortuna – ha continuato Strianese – c’è la Regione Campania, con cui abbiamo siglato un protocollo d’intesa per la gestione e valorizzazione del patrimonio culturale”.
Puntualizzazioni, probabilmente, non del tutto convincenti. A cominciare dalla poca differenza, in termini pratici, tra bando e avviso. E al fatto che più di qualcuno potrebbe semplicemente replicare “senza soldi non si cantano messe”, o meglio, dire “se non ci sono soldi, ora i lavori non si fanno”.
Non si è fatta attendere la mobilitazione di associazioni e di esponenti politici, per chiedere che l’atto fosse immediatamente ritirato o modificato, di specificare che le spese fossero a carico dell’Ente e di prevedere il giusto compenso per chi verrà scelto.
Tuttavia, al momento, tutto sembra essere rimasto com’era. Sarà ora interessante, a meno di cambiamenti nei prossimi giorni, capire (se) chi e quanti risponderanno all’Avviso, con scadenza il 24 aprile.
Perché è vero che ci si scandalizza e ci si indigna diffusamente, ma può esserlo altrettanto che, come spesso capita, la ricerca vada a buon fine, nonostante le criticità di base.
C’è chi potrebbe accettare al fine di fare esperienza, chi per farsi conoscere ed apprezzare e chi, sperando di essere poi scelto per un eventuale incaricato (remunerato).
Pensieri e considerazioni che, se ci fossero, sarebbero legittimi, per carità. Ma che di certo non contribuirebbero a rendere migliore, giusto e gratificante l’attività professionale ed il mercato del lavoro in generale.
È un po’ come quelli che denunciano il lavoro nei call center fatto, spesso, di guadagni molto bassi e di frustrazione diffusa. Giovani e meno giovani che ci lavorano, però, si trovano quasi sempre, perché le alternative sono quelle che sono, o mancano del tutto, oppure perché è considerata attività “semplice” e alla portata di (quasi) tutti.
O come quelli che, avendo già un lavoro, svolgono un’altra attività in modo gratuito, finendo per penalizzare chi tale attività non la svolge in modo gratuito.
Insomma, visto il resto, si finisce per accontentarsi, ma si tratta di scelte consapevoli. Sia chiaro, il cercare lavoratori “a gratis” non è strettamente paragonabile all’operare nei call center o a svolgere ulteriori lavori senza remunerazione.
Tale “appigli” sono, però, funzionali all’equazione “condizioni svantaggiose/sfruttamento = qualcuno, per un motivo o per un altro, si trova sempre e comunque”.
È giusto così, visto che nessuno obbliga a farlo? O qualcosa andrebbe rivista nella concezione complessiva del lavoro e delle sue sfumature?
Sarà interessante vedere questa volta come andrà.
Cono D’Elia