Lo slargo della via che conclude il Corso centrale di Vietri sul Mare e si apre sull’inizio di strada e il panorama della Costiera Amalfitana, è stato da sempre chiamato Piazza, dedicata una volta al sommo poeta Dante e successivamente (forse per ragioni politiche) intitolata a Giacomo Matteotti. In paese, però, è da tutti conosciuta, da sempre, come “fore ‘u forte”, cioè fuori al forte, perché si dice che lì vi fosse una difesa fortificata ad affaccio sul mare.
Su un lato di questa piazza, allineate a pilastri maiolicati con le arti e i mestieri vietresi, sostavano le carrozzelle pronte a portare in Costiera i turisti che giungevano col il treno; non a caso, ancora oggi, la targa annuncia che quella è la stazione di Vietri-Amalfi.
Sul lato opposto dell’ampia strada vi erano i binari del tram che, quando passava, faceva tintinnare le bottiglie di liquori in bella mostra nelle vetrine della Pasticceria Pellegrino. Poi, con la costruzione dello sbocco dell’autostrada Napoli-Salerno, lo “slargo” fu ampliato, i pilastri maiolicati scomparvero e divenne piazza, ma è tutt’altra storia che non ci appartiene: vi è, infatti, un parcheggio a pagamento dal quale lo sguardo si allunga verso i tornanti della Costa Diva.
Addentrandosi nel cuore antico del paese, si giunge alla piazza antistante la chiesa madre intitolata a San Giovanni Battista, non molto ampia, ma bastante per contenere il sacro, perché lì si raccolgono i vietresi, stanziali ed emigrati che ritornano appositamente, quando il 24 giugno esce il busto argenteo di San Giovanni Battista, per la rituale processione del giorno della festività. Una volta qualcuno, con poca attenzione sociale, tentò una manifestazione sociale con un noto personaggio letterario del momento, ma ebbe scarso rilievo: per i vietresi quella è la Piazza di San Giovanni… e basta!
Ma, allora, cos’è una piazza? A leggerne il significato nel vocabolario italiano, ci si accorge che ha ben otto concetti, ma per quanto ci riguarda ci fermiamo al primo, quello che vuole la piazza un luogo a volte ampio e a volte più piccolo, nel cuore della città, circondato da palazzi, spesso molto belli, e dove ci si può incontrare per un saluto, una chiacchiera, un caffè, un attimo di riposo nella frenesia della quotidianità.
A me piace però ricordare due piazze del cuore, legate ai giorni dell’infanzia e della giovinezza e dove, da adulto, si ritorna per gli incontri con gli amici di sempre, quelli con i quali si è cresciuti insieme.
Una è la Piazza del mercato, che fa da sfogo al vicolo Passariello (quanta poesia in questa denominazione) e si apre sulla via Mazzini che abbraccia il paese a semicerchio. Una volta si svolgeva il mercato quotidiano, un luogo racchiuso tra case con ingresso indipendente e un palazzo dal quale ogni giorno scendeva donna Carmela, elegante nel portamento, con i capelli bianchi raccolti a tuppo. Una finestra al primo piano di quel palazzo dava l’affaccio ad una camera da letto sulla sottostante piazzetta: da lì parti il mio primo urlo alla vita. In questo spiazzo raccolto un intero paese sapeva farsi formica: vi era il verdumaio e il pescivendolo, il pannazzaro e il venditore di latticini di Tramonti e altri ancora. Ognuno col proprio spazio vitale, senza dare fastidio agli altri. E qui, ogni giorno, si riversava per la spesa, un popolo “gioioso, laborioso, risparmiatore” come ebbe a definirlo Giuseppe Prezzolini durante il suo soggiorno vietrese.
Poi il mercato, un po’ alla volta, anche per la graduale ma inesorabile scomparsa dei protagonisti, finì e quella piazza, col tempo, fu riutilizzata come luogo di incontri. E fu l’intervento di arredo ceramico del maestro Salvatore Autuori: “Volare per…” e fu il pensiero, il sogno, la riflessione su quei puntini sospensivi che sulle ali di un gabbiano ceramico, portavano la mente lontana, verso ricordi che mai ti abbandonano.
Ma resta, ancora oggi e per vari motivi, la Piazzetta il luogo privilegiato. Una volta aveva un gradino difficoltoso da salire che la isolava dalla rotabile che attraversava il paese. Allora si diceva: “ci vediamo sopra la piazzetta”. Poi fu livellata al piano strada e quel “sopra” divenne “fuori”. Alle spalle un elegante palazzo settecentesco sulla cui facciata un sindaco fantasioso volle apporre una targa con la celebre frase amalfitana di Renato Fucini adattata a Vietri: “Il giorno del giudizio, per i vietresi che andranno in Paradiso, sarà un giorno come tutti gli altri”. E a volgere lo sguardo verso l’ampio affaccio sul mare alla fine quella frase può essere quantomai veritiera. Sotto lo sguardo è un’ampia distesa di verde coltivato, luogo di immaginata (ma forse vera!) sepoltura dell’etrusca Markinna; più oltre il mare dei miti, della storia, delle storie, nel punto più intimo dell’ampio golfo di Salerno. Su questa “piazzetta” ragazzi festosi da sempre hanno giocato nei pomeriggi inoltrati, a nascondino, alla bandiera, a “unenpontealuna” e tanti altri giochi di ragazzi, mentre mamme attente spettegolavano (esercizio che i vietresi non si sono fatti mai mancare) sedute sulle panchine in basalto sistemate a emiciclo. Resta indelebile nella memoria il funerale civile, comunista si diceva allora, che vi si svolse agli inizi degli anni cinquanta del novecento. Il defunto era Severino, mai saputo il cognome né la provenienza, comunista sfegatato, dalla grande e inesauribile parlantina, giunto a Vietri per confino del regime fascista. Alla sua morte il funerale civile: banda musicale, bara ricoperta dalla bandiera rossa con falce e martello e orazione funebre, lì alla “piazzetta”, dell’on. Giorgio Amendola esponente nazionale del PCI e dell’on. Cecchino Cacciatore, anima elegante della Sinistra salernitana. Operazione politica dovuta… in un paese dove l’alternanza amministrativa era tra il PCI e la DC, ambedue, sempre appoggiati dal PSI.
Col passare degli anni, ormai i bambini erano cresciutelli, la Piazzetta divenne il luogo di appuntamenti per la “passeggiatina con l’amica del cuore” sino all’hotel Baia, posto a cento metri verso Salerno. Poi il livellamento al piano strada, una sistemazione più elegante, si disse, ma certamente non più appartenente alla nostra memoria: la “piazzetta” se n’era andata e a nulla valsero dei separatori a distinguerla dalla carreggiata. Restava, però, per noi ormai non più ragazzi, il luogo dell’incontro domenicale tra amici d’infanzia, dove poter scambiare qualche riflessione, prendere un po’ di sole e ripararsi dal vento metelliano che non manca mai “fore ‘u forte”.
Nelle sere d’estate, oggi, la piazzetta si anima anche di tanti compaesani di ritorno e di gente di fuori che vi giunge per una pizza o un gelato. Certo non c’è più l’ufficio del dazio, il giornalaio, Mario il pasticciere, don Gerardo con i suoi squisiti gelati, uno su tutti la canasta (sorta di camillino) e Alfonso Senatore, esperto meccanico di motociclette.
I tempi cambiano e ci si deve adeguare. Così cambiano gli aspetti delle vie, delle piazze, cambiano le persone che le frequentano, nelle identità e nei comportamenti, ma non si possono cancellare i ricordi di un tempo che fu… non per un amarcord, ma per un legame serio, duraturo con le proprie radici che, alla fine, ti tengono ben piantato nell’avventura della vita.
Vito Pinto