Caro direttore, ad un mese dall’inizio del sinodo diocesano, ritengo opportuno proporre delle considerazioni per sollecitare il dialogo, anche se solo virtuale, come pare ami fare la nostra Curia. Una sezione del sito della diocesi è dedicata al cammino sinodale invitando alla comunione, alla partecipazione e alla missione. Tuttavia, dal diario delle attività svolte emerge che i primi atti sono soprattutto frutto dell’impegno dall’alto. L’auspicio è che finalmente si metta in pratica l’invito del papa e dare la parola alla chiesa “dal basso”. Certamente ciò emerge poco dalla Messa di apertura e dai documenti pubblicati e che spiegano minuziosamente come procedere, ma sostanzialmente appaiono privi di contenuti concreti. Ora, non avendo capacità tecniche per sintetizzare schede e documenti da inviare a Roma per attestare la disponibilità a seguire le indicazioni pontificie, si riporta quanto si è iniziato a fare in parrocchia non per accampare meriti, ma per invitare a fare delle riflessioni su cosa è emerso in una piccola parrocchia della forania Gelbison.
Gli argomenti da affrontare potrebbero essere molteplici, dalla gestione monarchica dell’episcopato alla fragile presenza di un dinamico ed efficiente presbiterio, dallo scoraggiamento di chi è emarginato perché non gradito a specifiche individualità, alla gestione finanziaria del discutibile 8 per mille, al complesso capitolo della morale cattolica in relazione alle problematiche del XXI secolo, all’aggiornamento culturale di preti e laici e, soprattutto, alla capacità di considerare Gesù un autentico compagno della nostra quotidianità.
Per oltre un secolo la chiesa locale cilentana si è confrontata con l’avvicendamento di otto vescovi. La loro provenienza fa ritenere che il personale processo di inculturazione ha riscontrato indubbie difficoltà. Inoltre, recenti scelte organizzative relative alle metropolie hanno ridimensionato l’articolazione del reticolo ecclesiastico frutto della lunghissima storia che ha interessato il territorio a sud del Sele. Qui, il prevalere di una religiosità popolare, a volte vero e proprio salvagente per il culto, poco si concilia con esperienze cittadine che hanno plasmato carattere e orientato le esperienze di chi è stato mandato come presule. Andrebbe affrontato, perciò, un argomento apparentemente solo teorico, che, invece, a ben riflettere, è centrale per la storia della chiesa locale: il processo di inculturazione e l’azione del presule per far emergere un episcopato di servizio e non di mera obbedienza nella prospettiva di carriera.
In parrocchia i fedeli sono sollecitati a partecipare a riunioni per ambiti professionali e categorie sociali. Da questo mese si terranno incontri con i componenti la confraternita, i membri della corale, i maestri e professori, i lavoratori, ovviamente i giovani e, se possibile, anche chi attualmente non risiede nel paese, ma si sente profondamente legato alla comunità. Intanto è stata richiesta la collaborazione della pro loco per distribuire un questionario e raccogliere i pareri anche di chi non ha intenzione di partecipare alle riunioni sinodali.
Le prime risposte inducono a fare alcune osservazioni che si propongono all’attenzione dei lettori. Si chiedeva di descrivere liberamente il tipo di chiesa desiderato e formulare un giudizio sulla parrocchia e sulla diocesi, pareri su cosa eventualmente cambiare e come procedere nel riorganizzare le attività pastorali. Le risposte pervenute non sono ancora molte, ma si prestano ad alcune interessanti osservazioni perché formulate da giovani universitari/e o laureati/e che nel prossimo mezzo secolo saranno i protagonisti della vita socio-politica e culturale del paese, giocoforza avranno contatti con la parrocchia, soprattutto se dovessero decidere di collaborare personalmente.
Alla domanda che tipo di Chiesa desideri, lapidaria ma efficace una risposta: “molto più inclusiva ed aperta al nuovo”; cioè, come si legge in un altro questionario, “Una Chiesa che sia punto di incontro per la comunità, che sappia essere un porto sicuro per tutti, soprattutto in tempi difficili come quelli che stiamo vivendo. Di fondamentale importanza è che riesca a comunicare con i giovani, avvicinandoli ai valori cristiani, forse facendo ciò con metodi del tutto nuovi, senza aver paura di discostarsi dalla tradizione”.
Tutti coloro che scrivono ammettono non semplice rispondere a simili domande e propongono di distinguere “tra Chiesa istituzione e Chiesa come luogo del credo”. Ora proprio la prima andrebbe rivista, perché “chiusa nei suoi concetti purtroppo alle volte lontani dalla società moderna, in continua evoluzione”. Si auspica, perciò, che sia “più aperta al dialogo, più coraggiosa. Che non giudichi una coppia omosessuale che si ama. (…) una Chiesa come luogo di incontro tra adulti e giovani, pronti a scambiarsi reciprocamente insegnamenti”.
Si è consapevoli che “bisognerebbe convertire gli scettici, coloro i quali hanno preconcetti e pregiudizi, chi non si avvicina alla chiesa soprattutto per vergogna credendo che frequentare la chiesa e le attività ad essa collegate possano essere sinonimo di bigottismo e chiusura mentale, anche se di bigotti e finti buoni ce ne sono anche tra i nostri banchi!” Si desidera una chiesa “più aperta nei confronti del progresso spirituale e di vita degli uomini” e a livello centrale si vorrebbe “venissero riconosciuti i matrimoni riguardanti le persone dello stesso sesso, la possibilità di risposarsi in Chiesa per chi abbia già contratto e celebrato un precedente matrimonio e che non ci sia obiezione di coscienza nel praticare e nello scegliere di abortire. In tutte queste ipotesi bisognerebbe avere una maggiore apertura soprattutto nel considerare i singoli casi e non uniformarsi ad una regola generale che non è sollecita né rispondente alle esigenze della maggior parte dei fedeli, soprattutto per i credenti e per i praticanti”.
Come si può notare, già solo tentare di pronunziarsi su questi problemi richiede una attenta e reiterata disponibilità all’ascolto, senza limitarsi a richiamare i testi dei documenti, ma aprendo mente e cuore alla concretezza delle situazioni di un quotidiano in continua evoluzione. Allora il battito diventa veramente determinante perché obbliga a decidere se ci si riconosce in una società cristiana ben regolamentata dalla gerarchia o nel piccolo resto chiamato a testimoniare la bellezza del Regno dove si sperimenta amorevole misericordia, quindi rispondere positivamente alla domanda letta nel passo del vangelo di sabato scorso: Il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra? (Lc 18, 8)
Intanto, questi giovani ritengono che la Chiesa “ancora oggi, sia ancorata eccessivamente a retaggi, usi e costumi di un passato che non si sposa più con le esigenze e le problematiche della società odierna”. Per questi motivi la si auspica “più vicina alla vita dei propri fedeli, libera da arcaiche convinzioni ed aperta ai reali bisogni del singolo e della comunità, Chiesa non selettiva e non giudicante, ma comprensiva ed accogliente, non solo nella forma ma anche nella sostanza”. Del resto il suo ruolo è ancora importante nella società liquida del pensiero debole nel XXI secolo perché può svolgere “una buona azione mitigatrice a livello nazionale ed internazionale, nei confronti delle masse e nei rapporti tra i Paesi”. Tuttavia presenta anche dei gravi limiti quando non svolge “al meglio il proprio compito di mediatrice tra Dio e il singolo fedele, comportando così un progressivo allontanamento di quest’ultimo”. Ne consegue una diffusa ipocrisia, Infatti, scrive una giovane “a carità, la fedeltà, la sessualità sono tematiche molto dibattute. Reputo però che chi frequenti la Chiesa alle volte le dimentichi, cullandosi di concetti finiti forse nel dimenticatoio”. Invece, questi giovani desiderano una Chiesa “luogo di crescita non solo spiritualmente in relazione alla propria fede o al proprio credo ma anche e soprattutto una crescita personale che si avvicini ai valori della fede cristiana, forse oggi tra i giovani, troppo dimenticati”.
Con molto realismo si riconosce la complessità della situazione, ma “anche l’estremo bisogno”, difficilissimo da attuare dimenticando quanto la Chiesa possa essere “luogo di riparo, di salvezza e sicurezza (…) una Chiesa vicina al cittadino, a chi ha bisogno ed è attenta alle esigenze della comunità”, alla quale una delle giovani intervistate attribuisce un termine che ritiene improprio, ma per lei “estremamente positivo: una Chiesa civile”. Si sollecita, quindi, una Chiesa locale al passo coi tempi ma anche fedele a sé stessa. Alcuni risultati si possono raggiungere manifestando comprensione e praticando realismo. Comunque “un cambiamento di qualsiasi tipo deve avvenire anche e soprattutto in quei fedeli più tradizionalisti, il che non è impresa di poco conto”. Questi giovani si pongono perciò un interrogativo: la maggioranza di chi frequenta la parrocchia oggi è “incline a dei cambiamenti strutturali importanti nella Chiesa intesa in senso generale? Forse bisognerebbe riflettere su questo”.
Quindi, per riassumere quanto è emerso, risulta “sicuramente positivo il messaggio di amore e tolleranza che la Chiesa diffonde. Deleterio, invece, sarebbe restare troppo ancorati a punti di vista che non trovano ormai corrispondenza nella realtà”. A questo proposito si condivide l’azione di Papa Francesco, che sta “tracciando una strada giusta”; ad esempio, si considera “positiva l’idea di una Chiesa che sia davvero “in uscita”, soprattutto in realtà piccole” come quelle della nostra diocesi.
Non rimane che moltiplicare le occasioni per dare la parola a questi giovani, senza paure, senza subdoli muri preventivi, aprendosi allo Spirito che si continua ad invocare. Per guidare questa esperienza, l’autorità dovrebbe identificarsi con la dinamica del servizio simboleggiata, oltre non tanto dall’anello, dalla mitria e dal pastorale, ma anche da una brocca, da un catino e un da asciugatoio: <<