Più di quattro quinti del consumo totale di energia si basa sull’utilizzo di combustibili fossili. Petrolio, carbone e gas naturale coprono cioè, ancora oggi, circa l’83% del nostro “fabbisogno energetico”. Una dieta velenosa per noi e per il pianeta, che nel post pandemia ha registrato un nuovo aumento della generazione di elettricità da queste fonti. Secondo il nuovo rapporto annuale del consorzio Global Carbon Project (GCP), diffuso a Glasgow in occasione della conferenza Onu sul clima Cop26, le emissioni mondiali di diossido di carbonio o CO2, infatti, sono di nuovo ai massimi livelli, con una spesa pari a 36,4 miliardi di tonnellate annue del nostro così detto “Carbon budget”, appena uno 0,8% al di sotto della media del 2019.
Per chi non sapesse perchè ci fanno “i conti in tasca”, definiamo il carbon budget, o bilancio di CO2, come “la quantità di anidride carbonica che l’insieme delle nazioni del mondo possono immettere nell’atmosfera assicurando un riscaldamento medio che non vada oltre i +1,5 gradi Celsius, considerando i livelli preindustriali”. Un parametro che contiene e descrive tutti i limiti delle risorse in esaurimento del nostro pianeta, ad oggi quantificato intorno alle 310Gt (dati del Gruppo intergovernativo di esperti sui cambiamenti climatici – Ipcc). In altri termini, per le nostre necessità quotidiane abbiamo a disposizione circa 31 gigatonnellate all’anno di CO2 da disperdere nell’atmosfera, ma ne “spendiamo” 36. La specie umana è dispendiosa, si sa. E Ciaula non riesce a vedere la luna fuori dalla solfara. Al termine di due settimane di negoziati, di quel bla bla bla di thunbergiana definizione, l’accordo sull’eliminazione graduale del carbone si è risolto in una riduzione graduale del suo uso e della sua estrazione. Non se ne può fare senza, insomma. Il Global Glasgow Pact stringe i nodi dell’Accordo di Parigi (2015) ma non tanto da soffocare le emissioni nette: ai grandi inquinatori si chiede di presentare impegni più forti di riduzione dei gas serra entro la fine del 2022, Cina e India per primi, ma i tempi si allungano e il brodo si “annacqua”.
Nessun catastrofismo comunque. Più o meno tra 48 anni, nel 2070, anno indicato dal premier indiano Narendra Modi come data plausibile di azzeramento delle emissioni nette di CO2 (il 73% dell’energia di Nuova Delhi si fa con il carbone), l’umanità potrebbe anche essere già sparita dalla circolazione terrestre. Perchè ad essere in pericolo non è il pianeta, lo siamo noi. Parola di Nobel.