Pochi giorni fa è venuto a mancare il Professore Guido Graziussi, luminare della neurochirurgia e fondatore, in qualità di Primario, dell’omonimo reparto presso l’ospedale San Luca di Vallo della Lucania.
L’amore sconfinato per il Cilento e per Acciaroli influirono sulla scelta di lasciare strutture ospedaliere più prestigiose, adeguate alla sua fama nazionale ed internazionale di professionista affermato e conteso.
Non solo una combinazione fortunata, quanto una serie di circostanze dove la politica aveva ancora l’ambizione di realizzare un sistema sanitario pubblico dalle solide basi, proiettato verso un modello di stato sociale fondato sul servizio e non sul profitto.
Parimenti, quella generazione di medici, allevata e cresciuta da analoghi valori, vedeva il camice ospedaliero come massima aspirazione professionale, a cui dedicare in maniera totalizzante la propria vita lavorativa, trovando quindi interlocutori in grado di garantire prestazioni complete, strutture ben attrezzate, carriere meritocratiche ed un livello di gratificazione da parte dei pazienti da far considerare l’Italia nel novero dei Paesi più avanzati.
Dagli anni ’90 in poi è accaduta una sorta di mutazione genetica della società italiana, dovuta ad un’ ondata ideologica partita dalle nazioni anglosassoni, avente come obiettivo il ridimensionamento dello Stato da alcuni settori di interesse pubblico: i trasporti, con le autostrade e gli aeroporti, le grandi stazioni, il settore energetico, le telecomunicazioni e la sanità sono diventati preda degli appettiti di gruppi grandi e piccoli. Questi, con l’alibi della concorrenza e dell’efficienza, hanno comprato, spesso a prezzo di favore, interi settori delle cosiddette “utilities”, sostituendosi quasi completamente allo Stato in settori monopolistici o comunque protetti e senza alcuna vera concorrenza.
Ne è derivata una società dove l’economia, più che apparire quella del libero mercato, è sempre più simile a quella delle baronie, dei feudatari, quando il sovrano, non potendo gestire direttamente le principali funzioni pubbliche, le concedeva ai propri sodali in cambio di fedeltà e di cieca obbedienza.
Il risultato è stato paradossale, in quanto molti di questi servizi oggi costano molto più di prima, la spesa pubblica è esplosa, come pure è aumentato il numero degli indigenti, spesso senza alcuna possibilità di ricorrere alle cure sanitarie pubbliche nei tempi certi che una diagnosi tempestiva e delle cure pertinenti dovrebbero garantire, come previsto dall’articolo 32 della Costituzione italiana.
Come spiegarsi poi i tempi di attesa biblici per molte visite ospedaliere, con gli stessi medici che, privatamente, visitano e curano a pagamento nei propri ambulatori?
Poi ci sono gli irriducibili, quelli che non hanno abbandonato le corsie e le sale operatorie, un po’ per vocazione un po’ per necessità. Sottoposti a turni massacranti, dovuti ad una cronica carenza degli organici, causati dalla mancanza di concorsi e di assunzioni ed accentuati da una sorta di tappo, costituito dal numero chiuso per l’accesso alle Facoltà di Medicina, non più in grado di coprire il fabbisogno di laureati .
Spesso sono donne e uomini che per spirito di servizio hanno una vita familiare difficile, resa quasi impossibile dalle turnazioni e dalle reperibilità che, seppur ben pagate, diventano una giostra impazzita dove il riposo e gli aggiornamenti sono un miraggio.
Costoro sono quelli che garantiscono le emergenze, nelle chirurgie, nei pronto soccorso, nelle terapie intensive e nelle rianimazioni.
Sono l’eccellenza, ma non interessano al privato perchè queste attività sono molto costose e poco remunerative.
Questi sono anche quelli che salvano la vita delle persone, perchè un infarto o un ictus non sono programmabili come una visita specialistica.
Come non capire che tutto ciò risponde ad una precisa strategia politica ed economica tesa a creare un nuovo modello sociale, dove il nostro “welfare state” ne uscirà a pezzi?
Una sorta di obsolescenza programmata, come fanno le industrie con gli elettrodomestici, per obbligare i consumatori a comprare quelli nuovi ed a buttare i vecchi…
Così la politica, scientemente e dolosamente crea il disservizio negli ospedali per far fuggire i pazienti verso il privato, spesso rappresentato dallo stesso medico con un camice di un altro colore.
Una emorraggia che ormai investe non solo i medici affermati, quanto pure i giovani laureati, spinti dalla lusinga di maggiori garanzie economiche e scoraggiati dalle inefficienze delle strutture pubbliche, gestite sempre più con logiche clientelari ed autodistruttive.
E’ triste pensare come oggi, se un Direttore sanitario volesse assumere un fuoriclasse del calibro del compianto Professore Guido Graziussi, non troverebbe nemmeno un assessore regionale in Campania a riceverlo!
Un assessorato che in questa regione non esiste da molti anni, le cui funzioni fanno capo al Presidente della Giunta regionale.
Come una nave senza timoniere, dove il comandante credendo di essere più bravo di tutti, pensa di poterne fare a meno, anche se l’imbarcazione rischia di infrangersi contro gli scogli.