Il vespaio dell’estate, con le sue sagre è soltanto uno sciame lontano e dagli echi smorzati, e il formicaio impazzito delle aree interne pullula di piccoli insetti già laboriosi e operativi. Impegnare le proprie giornate di settembre diventa un imperativo categorico, una necessità cieca, e mentre la piccola piazza del paesino comincia a svuotarsi, alle sette e mezza del mattino tutti gli “attivi” sono già via. Sono altrove, sono nelle pance degli autobus o ad aspettare il consueto passaggio in macchina, sono persi nella nebbia evanescente del mattino, in quell’aria elettrica mattutina che sa di caffè trangugiati di corsa, cornetti sbocconcellati o di colazioni vuote, perché c’è anche chi non riesce a mandar giù nulla appena sveglio. Gli attivi, li chiameremo così, si vestono al freddo alle prime luci dell’alba, spogliandosi mentre il sole fa capolino sul balcone e illumina i monti che costellano i paesini disposti in filari più o meno ordinati, dimenticano qualche incubo tra le ciglia e i denti appena spazzolati e cercano di organizzare frettolosamente la giornata non appena aprono gli occhi. Chi è fortunato, rimarrà a casa e osserverà la colazione dei propri figli, gli chiederà di sbrigarsi mentre sono accorti a guardare i cartoni animati e li accompagnerà nella scuola del paesino (se c’è), e poi passerà la giornata in paese. Mansioni nelle botteghe, negli alimentari, dal fruttivendolo o dal fioraio: gli attivi sono quelli che ti servono il panino con la mortadella da mangiare a pranzo, quelli che ti consigliano le bomboniere migliori per la Comunione di tuo figlio quando fai un salto nell’unico negozietto di fiori e oggetti di antiquariato del paese, sono quelli che ti conservano le melanzane, le zucchine o i pomodori migliori, sono quelli che si sforzano di sorridere dietro un bancone. Sono gli stessi che, dopo una manciata di clienti, magari rimangono a fissare la piazza deserta per ore (o per secoli), constatando il nulla che trema e vibra nell’atmosfera, che fingono di ingannare il tempo conversando con altri attivi. Sono quelli che arrancano col proprio negozietto, che magari era del proprio papà, sono quelli che sono cresciuti in una bottega e che si sono sporcati le mani di lavoro, di provincia e sacrifici fin da bambini, sono quelli che magari hanno studiato ma sono tornati nel negozietto del papà e passano la mattinata a servirti e a simulare un sorriso, troppo finto per essere vero, troppo reale per non suonarti come un pugno alla bocca dello stomaco. Sono quelli che conoscono fin troppo bene le spese, le rinunce e l’amarezza di un paese fantasma, illudendosi che forse domani andrà meglio. Gli attivi sono anche coloro che ti servono il caffè dietro il bancone del primo o secondo bar del paese, che si svegliano quando fuori c’è ancora il profumo della notte e sfornano cornetti con la luna ancora alta nel cielo, mentre i bambini sognano e le mamme dormono stringendoli a sé. Gli attivi sono anche quelli che alle sette e mezza in punto partono, riempiono i pullman o prendono le proprie macchine e vanno nei paesi più vicini a lavorare, spesso dando un bacio sulla guancia al proprio bimbo ancora addormentato; sono le madri che poi alle 13:30 rincaseranno con qualche ruga in più e un giochino tra le mani, come a dire:” Scusa se stamattina non sono stata con te”, che tenteranno per tutto il giorno di dissimulare la stanchezza, addomesticandola come se fosse una bestia docile. Alcuni attivi lavorano anche sul Comune, una specie di paradiso per le voci confuse della piazza. “Quello lavora sul Comune!”- “Ah sì?”- “Quello ha il posto fisso!”, e tante altre voci flebili che declamano la confortante sicurezza del posto fisso sul comune o alle poste, un classico intramontabile e irrinunciabile. Gli attivi sono insegnanti, impiegati comunissimi, lavoratori d’ufficio in altri paesi, bottegai, negozianti, muratori, contadini. C’è anche qualche avvocato, qualche dottore, qualche mestiere altisonante che suscita stupore e invidia.
Ogni attivo che esce di casa con le luci delle stelle ancora tremolanti nel cielo ha un sorriso in tasca, che sfodererà quando le stesse luci del mattino gli sembreranno troppo tristi, troppo scure per trovare un motivo per andare avanti. E quel sorriso sarà l’unica stella fissa della giornata, anche se forzata.