Sorpresa, dispiacere e spaesamento. Sono solo alcuni degli stati d’animo che hanno caratterizzato e, in parte, caratterizzano ancora gli anziani del Vallo di Diano, in riferimento all’emergenza Coronavirus. Una comunità, la valdianese, in cui la componente legata alle persone con più di 70 anni rappresenta la parte più corposa.
E se ne è avuta la consapevolezza anche alla luce dei contagi che hanno interessato gli ospiti della casa di riposo “Istituto Juventus” di Sala Consilina e della residenza familiare “San Pio” di Padula.
Una reclusione forzata quella degli anziani del comprensorio che, tuttavia, a differenza di coloro che abitano in città, possono avvalersi “dell’ancora di salvezza” rappresentata dal verde, dalla natura e dai campi. Certo, l’attività agricola attiva, in particolare nella prima fase dell’emergenza, non è stata praticabile, ma anche solo lo sguardo verso ciò che quotidianamente distrae, rilassa e fa passare il tempo, unitamente ai colori ed agli odori della primavera, in alcuni hanno attenuato la tristezza del momento.
E allora è maturata la consapevolezza del fatto che realtà territoriali minime e di “secondo piano”, come quella del Vallo di Diano, si sono rivelati alleati più preziosi di quanto si potesse immaginare. Con i loro tempi rallentati, la riservatezza e la chiusura di base e gli “spiragli di luce” quotidiani. Tutto ciò, nonostante si sia dovuto delegare ad un familiare o a qualche vicino o conoscente le attività giornaliere.
A Teggiano (centro che registra un’alta percentuale di persone al di sopra dei 70 anni, in rapporto alla popolazione), così come negli altri paesi del Vallo, non è stato semplice far capire ai propri “vecchi” cosa stesse accadendo di preciso, né tantomeno tenerli a casa, senza poter uscire. Anche perché, seppure è un aspetto che va pian piano scemando, a dominare a volte è l’orgoglio, il volersela vedere da sé, il gestirsi tempi e spazi.
C’è stato bisogno e c’è tuttora bisogno di proteggerli dal virus, dai contatti e dalle influenze esterne, ma in un certo senso, anche da sé stessi e da ciò che, vissuto per la prima volta, li ha costretti a non vedere figli (o almeno non tutti) e nipoti.
Per alcuni di loro, oltre alle difficoltà già citate, è stata dura non recarsi alla propria chiesetta di riferimento, in occasione della messa settimanale e delle ricorrenze annuali, come quelle legate alla feste di paese, o meglio di frazione.
In tale ottica sono molte le incognite relative ai festeggiamenti in onore di San Cono, del prossimo 3 giugno. Celebrazione che, da anni e anni, si svolge con il consueto rituale, rappresentato dalle diverse messe giornaliere, dalla processione, dai succulenti pranzi con le proprie famiglie e dall’atmosfera di festa in onore del santo protettore del paese e della Diocesi. Una ricorrenza fortemente sentita da tutta la comunità e che quest’anno non potrà essere vissuta come si vorrebbe.
Così come è stato anomalo non potersi recare ai funerali per dare l’ultimo saluto a persone che, in maniera approfondita o più superficialmente, in qualche modo si conoscevano sempre e per manifestare il cordoglio alla famiglia. Azioni che, nei comuni valdianesi e nei piccoli centri, in particolare del centro sud, rappresentano una sorta di segno di rispetto. E’ stato significativo vedere negl’occhi di familiari e vicini di una certa età la tristezza per non poter essere presenti e ricambiare ciò che magari la famiglia del defunto aveva fatto in precedenza per loro. A poco è servito far riferimento a condoglianze tramite web o cellulare.
E ora che la via d’uscita sembra farsi sempre più intensa, ora che nipoti e figli si sono potuti nuovamente avvicinare, ora che, seppure con le dovute limitazioni, si può tornare a frequentare le chiese, l’estate sembra portare quella normalità, seppure in piccole dosi. Ma che, tuttavia, per ovvie ragioni, risulterà quantomai preziosa per i nostri nonni.
Cono D’Elia