Giuseppe Bonito, di Sala Consilina, è il regista dell’ultima fiction Rai “Mike” dedicata all’uomo e al personaggio tv Mike Bongiorno. Lo abbiamo incontrato a Roma e ci ha raccontato molte cose. “Si tratta di un lavoro che mi ha preceduto almeno nella impostazione della scrittura, sono stato chiamato a dirigere questa miniserie dalla Rai, quando ci stava già una prima stesura della sceneggiatura. A questo ha fatto seguito un periodo di circa sei mesi di tanto lavoro sul copione fino all’ultimo, di revisioni che abbiamo fatto e quindi di una preparazione che è stata molto articolata essendo una serie che copriva un periodo che va dagli anni ’30 fino agli anni ’70. Epoche diverse, ambienti diversi, situazioni tra loro diversissime, si spazia dalla guerra degli anni ’40 all’America nell’immediato post guerra, l’Italia anni ’50, ’60 e ’70, un serie molto ambiziosa”. Si tratta cioè di un continuo rimando al vecchio ma anche al nuovo dell’epoca, attualizzato nella fiction, una contemporaneità trasparente per l’epoca. “Intanto il presente della serie è il 1971, un anno particolare, per ovvi motivi raccontiamo il Mike della Rai. Quelli sono stati anni 1971, 1972, 1973 in cui il successo di Mike era un successo apicale, Rischiatutto che era la trasmissione dell’epoca, teneva incollati allo schermo 25 milioni di Italiani, quasi un italiano su due guardava Rischiatutto, è un gioco di racconto semplicemente: c’è un Mike al presente, in un momento di apice del successo che è costretto da una intervista che in realtà non è mai accaduta a rievocare tutti gli altri periodi della sua vita antecedente a quello – afferma ancora Giuseppe Bonito – tutto ciò significa che abbiamo lavorato su piani temporali diversi, quasi come se ci fossero 4/5 film contenuti nella stessa serie”. Ma su cosa è venuto fuori dalla sua ricerca costante sul popolare Mike Bongiorno che ha coperto una intera generazione, Giuseppe Bonito, afferma: “Per ragioni anagrafiche ho conosciuto Mike in televisione, anche se il Mike era quello del passaggio da Rai a Mediaset, quindi posso dire che il Mike televisivo che ho conosciuto da piccolissimo e poi da giovane spettatore era già il Mike degli anni di Mediaset. E come tutti pensavo di conoscerlo, un personaggio assai conosciuto, quasi familiare, ma quello che ho voluto fare è stato quello di resettare tutto ciò che ricordavo e conoscevo, per me così è stato un viaggio di conoscenza inedito che non era detto che restituisse qualcosa di inedito e di interessante per lo spettatore. È stato un viaggio sorprendente nel quale ho conosciuto nuovamente questa persona e alla fine avevo così tanti motivi di racconto che avevo il problema opposto, così tante cose difficili da contenerle in appena due serate. Ho cercato di ricostruire Mike a telecamere spente con un margine di inventiva anche se ho avuto grande supporto da questo punto di vista dalla famiglia, ma soprattutto dalla moglie Daniela, una porta d’accesso preziosa al Mike privato. Poi ho capito che dietro la sua semplicità che era la chiave d’accesso allo spettatore c’era una complessità enorme, dobbiamo pensare che tutto ciò che era prima di Mike era un codice televisivo e tuttora, quello attuale non esisteva, cioè lui di fatto ha inventato la televisione in Italia”. Ha interpretato Mike Bongiorno l’attore Claudio Gioè. “Uno dei punti era cercare il più possibile di evitare la caricatura, la macchietta, l’imitazione, ho sempre apprezzato molto Claudio Gioè, un attore molto molto bravo, molto solido e mi dava delle garanzie – dice ancora il regista salese – era un volto molto riconoscibile dal pubblico di Rai1 e allo stesso tempo, nonostante si sia dovuto sorbire tre ore di trucco e parrucco tutti i giorni ci stava già una base sulla quale lavorare sul look e quindi la somma di queste tre cose ha fatto ricadere la scelta su di lui. Elia Nuzzolo che interpretava invece Mike da giovane come tanti altri attori ha fatto dei provini mentre a Claudio è stato proposto il ruolo”. Giuseppe Bonito porta con sé, nei suoi lavori, le sue origini, il suo essere “salese” in contesti anche molto lontani. “Sono mondi che sono anche separati rispetto alla mia persona – spiega – però mi piace pensare, adesso ho 50 anni, che gran parte della mia vita l’ho vissuta a Roma ma non solo a Roma, ovviamente il mio lavoro mi porta ovunque, però penso che Sala Consilina, il Vallo di Diano, siano radici molto solide, il resto della pianta magari no, ma le radici sì. È come qualcosa che nutre la mia vita ma in una maniera sotterranea”. Su un lavoro che non ha mai realizzato e che gli sarebbe piaciuto realizzare, proprio ora in un’età diversa, Bonito dice: “Non mi è successo di non poter fare delle cose che avevo in mente di fare e quindi tutto quello che era nelle possibilità di farlo l’ho fatto. Questa è una cosa che riesco a declinare più al futuro. Ci sono tante storie, progetti che ho in mente e che vorrei realizzare e però faccio prevalere anche una scelta del caso. A volte molte storie mi sono capitate e probabilmente resta ancora per quel che mi riguarda il metro di valutazione migliore. Non ho la mente molto pianificante in questo senso e come diceva Dante la fantasia è un posto nel quale piove dentro e quindi lascio ancora che ci piova dentro di me”.
Antonella Citro