Nel suo recente discorso programmatico il Presidente del Consiglio ha rappresentato l’esigenza di intervenire sulle leggi di riforma delle banche cooperative, adottate nel corso della XVII Legislatura. L’esigenza di revisionare il complesso dispositivo in parola – avendo riguardo soprattutto alle banche «più integrate sul territorio, per recuperare la loro funzione che aiuta molto il tessuto produttivo quello meno visibile, quello delle Pmi», come il Premier ha tenuto a precisare – appare di certo condivisibile, ove si considerino le difficoltà incontrate dagli appartenenti a tali categorie nel conformarsi alla nuova regolazione. In particolare, sussistono valide ragioni per ritenere detta affermazione pregna di significato con riferimento ad una possibile revisione della normativa di riforma delle BCC, nonostante il contrario avviso espresso dall’Iccrea, secondo cui tali «dichiarazioni … destano preoccupazione, perché la riforma ha l’obiettivo di rafforzare le banche locali» (si veda IlSole 24Ore del 6 giugno 2018). Al fine di chiarire la validità della posizione assunta dal Governo è bene, in primo luogo, ricordare il contesto economico giuridico nel quale è maturata la riforma delle BCC.
Occorre premettere che tali banche, operando prevalentemente con le PMI, hanno subito – a causa della loro limitata patrimonializzazione – in misura maggiore rispetto ad altre gli effetti negativi della crisi finanziaria degli anni 2007 e seguenti (come è dato evincere anche dal rilevante numero di commissariamenti in quegli anni disposti dall’autorità di controllo). A fronte del possibile aggravarsi di tale situazione, un rimedio venne individuato dalla Banca d’Italia nella promozione di ‘gruppi bancari cooperativi’, con a capo una holding munita di significativi poteri. Tale soluzione – nonostante l’auspicio di ampia parte della dottrina per un pluralismo di tali strutture organizzative – ha trovato compendio nella realizzazione di due soli gruppi, che fanno capo rispettivamente all’ Iccrea ed alla Cassa Centrale Banca, ai quali se ne aggiunge un altro, a carattere regionale, operante nell’Alto Adige. Lo schema ordinatorio del gruppo, fondato sull’«adesione obbligatoria», sulla natura cogente del «contratto di coesione» e sulla previsione di un meccanismo solidaristico infragruppo, il cd. «cross guarantee scheme», avrebbe dovuto mettere al riparo le BCC dal pericolo di dissesti, consentendo alle medesime di conformarsi alle linee guida delle ‘grandi riforme’ che dall’UE, negli anni recenti, sono state adottate in ambito bancario.
Ho già evidenziato in altre occasioni (tra l’atro in un’Audizione presso la Camera dei Deputati tenuta il 1° marzo 2016) le ragioni che inducono a guardare con perplessità il raggruppamento della quasi totalità delle BCC in un unico mega gruppo. Tali ragioni, sulla base delle considerazioni che qui di seguito esporrò, sembra possano ritenersi valide anche in presenza della sostanziale realtà dualistica che si è determinata a seguito del superamento dei numerosi tentativi di Iccrea di dar vita ad un ‘gruppo unico’. Come ho avuto modo di sottolineare nel passato, la riforma è destinata a riflettersi negativamente sulla specificità cooperativa e, dunque, sull’essenza valoriale che da sempre ha connotato l’attività svolta dalle BCC. Ciò a causa di una governance troppo lontana dai centri di destinazione dei suoi input strategici, nonché per il significativo divario (tecnico operativo) esistente tra tali ‘gruppi’ (per dimensione tra i più grandi d’Italia) e quelli caratterizzati da ben diversa tradizione di professionalità (come Intesa e Unicredit) con i quali dovranno competere nel mercato. Consegue la perdita del carattere localistico di tali banche; carattere che la riforma del diritto societario di inizio millennio aveva preservato, previo spostamento della loro ‘causa negoziale’ dalla prestazione mutualistica all’integrazione col territorio. Si attenua, nella migliore delle ipotesi, il ruolo tipicamente proprio delle BCC, quali «agenti integratori» dei distretti industriali, destinati a supportare finanziariamente le PMI. E’ ben vero che il Governatore della Banca d’Italia, nella relazione tenuta il 29 maggio 2018, ha ribadito che «la riforma in corso di attuazione consentirà di continuare a sostenere le economie locali anche nel nuovo contesto regolamentare»; ma è altrettanto vero il ridimensionamento di tale assunto a causa delle preoccupazioni da Lui manifestate in ordine alla «incidenza delle esposizioni deteriorate» particolarmente elevata nelle BCC.
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E’ evidente, pertanto, come l’incentivazione ad «operazioni di aggregazione», promossa in detta sede, e la stessa «riforma in corso di attuazione» appaiano finalizzate essenzialmente allo scopo di evitare la gestione delle «crisi di singole BCC con soluzioni di tipo liquidatorio», piuttosto che all’asserito sostegno delle «economie locali». A ben considerare, i limiti della riforma in osservazione risultano chiari ove si abbia riguardo alle modalità esplicative degli stringenti vincoli del contratto di coesione che lega le BCC alla capogruppo e, dunque, all’esercizio di un ruolo dominante da parte di quest’ultima. Ad essi conseguono, infatti, linee comportamentali che sembrano confermare la tesi, da me sostenuta in passato, di essere in presenza di una sostanziale eterogestione degli enti creditizi appartenenti al gruppo bancario cooperativo. Significativa, al riguardo, appare la circostanza che, a seguito dell’opzione esercitata dalle BCC per una delle due aspiranti holding (avvenuta nel 2017 nell’ambito della assemblea di approvazione dei bilanci 2016), queste ultime hanno tenuto una condotta che sembra confermare la realtà da me rappresentata all’indomani dell’emanazione della legge n. 49 del 20l6. Ed invero, in occasione della costituzione degli organismi aggregativi in parola, dette holding hanno svolto un’interlocuzione con la BCE senza coinvolgere adeguatamente le BCC che partecipano ai gruppi. Sicchè, gli appartenenti alla categoria – a fronte della delusione derivante dalla presa d’atto della perdita della loro capacità interventistica – nutrono ora legittimi timori di vario genere riconducibili alla difficoltà di far pervenire ai centri decisionali le istanze dei territori (connesse alle esigenze di sostegno finanziario alle PMI). Ed ancora. Non può trascurarsi di considerare la disomogenea capacità di tali enti creditizi di conformarsi alle disposizioni applicabili alle banche significative, tra le quali dovranno essere annoverati i gruppi cooperativi di cui trattasi. Da qui la prospettiva di ulteriori difficoltà, alle quali del resto fa riferimento lo stesso Direttore Generale della Banca d’Italia avvertendo che «rispetto a quando la riforma è stata pensata … è possibile che stia emergendo, in virtù dell’applicazione dei requisiti patrimoniali pensati per le banche significant, la circostanza che i costi della riforma così congegnata possano superare i benefici» (cfr. IlSole24Ore del 9 giugno 2018). Inoltre, è da presumere che – al di là di possibili divergenze (rectius: distonie) applicative – i modelli interni di assorbimento di capitale (in particolare quelli che fanno riferimento al rating ed al pricing) e l’AQR daranno luogo ad una definitiva ‘spersonalizzazione’ della relazione banca/cliente. Ciò in quanto la valutazione della ‘meritevolezza del credito’ viene, per tal via, incentrata su un criterio che ha poco riguardo alla definizione dei rapporti sulla base dell’intuitu personae. A ciò si aggiunga la considerazione che molte PMI, a seguito di tale oggettivazione dei controlli, sono destinate ad essere ‘clientela marginale’ ove, come di sovente avviene, il bilancio di queste ultime presenti elementi strutturali incompatibili con le valutazioni richieste dai nominati modelli interni di assorbimento di capitale. Sulla base di quanto precede risulta inequivoca l’esigenza di procedere ad una rinnovata riflessione sulla materia che qui ci occupa.
L’identificazione di correttivi della normativa speciale ovvero di formule strutturali alternative a quelle previste dalla legge n. 49/2016 assurge, pertanto, ad indispensabile contenuto di un’azione governativa che proponga un ‘cambiamento’ coerente con le istanze socio economiche espresse dai territori e con la tradizione operativa che caratterizza le BCC. Va da sé che per consentire una riflessione volta a recuperare la funzione localistica di tali banche dovrà essere chiesta una moratoria all’autorità di supervisione nazionale ed alla BCE, alla quale nel decorso mese di aprile sono state presentate le istanze per la costituzione dei gruppi cooperativi.