Mentre le donne continuano ad interrogare la madre di Gesù e la sollecitano a raccontare altri episodi della vita di suo Figlio, Giovanni e Tommaso decidono di mettersi in viaggio per Betania dopo aver salutato gli amici rimasti in casa della moglie di Cusa. A debita distanza li segue Maria Maddalena, intenzionata a rispettare l’impegno assunto con Didimo. La meta non è molto lontana; anche se da poco è passata l’ora sesta, procedono senza fretta e intessono subito un’accesa conversazione circa l’ambiente culturale nel quale ha operato il Maestro, sul messaggio dei profeti e sul relativo significato.
Sono così presi dal ragionamento da non accorgersi che quasi tutti i viandanti li superano. Improvvisamente si sentono chiamare. Notano due individui che affrettano il passo; man mano che si avvicinano danno la sensazione di essere volti conosciuti. Ancora lontani sentono i loro nomi e riconoscono la voce di Matteo, il confratello chiamato da Gesù quando era ancora seduto al banco delle imposte, vocazione che suscitò forti interrogativi tra i seguaci del Maestro, scrupolosi praticanti della Legge. Un pubblicano in mezzo a loro! Impossibile. I più speravano che egli si fosse sbagliato, invece accettò perfino l’invito a casa del peccatore.
Tommaso, riprendendosi dalla sorpresa, si ferma e riconosce l’altro viandante. E’ Simone lo zelota. Didimo è impressionato dal suo volto. Lo conosce come un uomo duro, capace di controllare i sentimenti e pronto sempre all’azione. Gli occhi rossi di lacrime non sono una caratteristica che si attaglia alla sua personalità.
Raggiunti dai due, Tommaso e Giovanni si sentono comunicare la nuova. Giuda Iscariota è morto. La dolorosa notizia diventa tragica quando apprendono come è avvenuto: è stato trovato morto nei pressi del campo del vasaio a Gerusalemme. S’era impiccato, ma l’albero non aveva retto al peso del corpo ed era precipitato lacerando l’addome. Una brutta morte, che induce a riflettere; ma in quel momento nessuno ha il coraggio di azzardare commenti.
“Ha lasciato questo per te, Tommaso”. Continuò Simone.
“Non so che cosa sia e perché lo abbia destinato a te. Mi è stato consegnato da coloro che hanno trovato il suo cadavere. Costoro mi hanno riferito anche dell’alterco con i sommi sacerdoti, ai quali avrebbe restituito del denaro ricevuto non so per quale ragione”.
I quattro apostoli si guardano in viso, sorpresi e curiosi. Decidono di fermarsi. Nei pressi vi è la tenda di un pastore al quale sollecitano la carità di un po’ d’acqua ed un posto dove sedere. Accontentati, si accomodano e cominciano a srotolare il pezzo di stoffa; contiene un papiro sul quale, a mo’ di titolo, è scritto:
“Non cominciamo col tentare di giustificare un’azione inconcepibile”. Grida Giovanni, meravigliando gli altri, che lo conoscono per la disponibilità al perdono come ha raccomandato Gesù. “Tutti sapete che il Maestro lo aveva incaricato di gestire la borsa comune perché era l’unico originario della Giudea, quindi in grado di conoscere i cambiavalute di Gerusalemme. Durante l’ultimo pasto insieme, Gesù gli disse di fare subito quello che doveva fare e tutti pensammo che si riferisse a qualche acquisto o all’elemosina ai poveri, anche se mi ero accorto che sottraeva sempre denaro dalla cassa utilizzandolo per mettere da parte armi. Finalmente sappiamo che fine ha fatto, dopo il bel gesto nel Getsemani.”
“Sì, hai ragione. Lo ha fatto per danaro”. Interviene Matteo, rincarando la dose.
Per tutta risposta è fulminato dallo sguardo di Tommaso, che gli richiama alla mente il comportamento di Gesù proprio in casa sua la prima volta che si fermarono per pranzare. Didimo ricorda la repulsione di alcuni come lui perché si vedevano circondati da molti esattori d’imposte e da gente di cattiva reputazione. Mettersi a tavola con loro era troppo per un ebreo osservante, ma Gesù lo aveva fatto con sovrana naturalezza, vincendo qualsiasi esitazione. Proprio questo gesto determinò le critiche dei farisei, i quali, terminato il pranzo, chiesero ai discepoli:
Pensavano di parlare a bassa voce ma Gesù, che li aveva uditi, rispose:
Il ricordo di queste parole mette a tacere Matteo e Giovanni; meravigliano lo stesso Tommaso, il quale in cuor suo non si da ragione del perché senta una particolare compassione per Giuda. Intanto invita con insistenza Giovanni a leggere il contenuto del papiro.
Il giovane apostolo, pentito per le affermazioni fatte, inizia a srotolare e sillaba:
Giovanni prende fiato e coglie l’occasione per osservare il viso degli altri. Sul volto di tutti è stampata un’evidente maschera di sorpresa. Matteo appare ancora dubbioso sulle giustificazioni addotte; invece Tommaso sembra prestarvi fede. Simone lo zelota è il più contento per ciò che ha sentito leggere: temeva che potessero sospettare anche di lui per il passato di attivo agitatore.
Srotolato ancor più il papiro, il giovane figlio di Zebedeo riprende la lettura:
Matteo sembra convincersi. Esclama: “Giuda voleva probabilmente soltanto tener Gesù fuori della pubblica piazza in quei giorni e, conoscendo la determinazione del Maestro e l’impossibilità di fargli cambiare idea, avrà accettato la proposta fidandosi dei capi, che poi lo hanno disilluso. Resosi conto che era stato giocato e venendo a conoscenza di cosa stavano facendo al suo Nazareno, è stato preso dal senso di colpa e da una profonda tristezza che, alla fine, lo avrà portato alla tragica decisione d’impiccarsi”.
Giovanni riprende la lettura del plico dopo aver riflettuto un po’ su alcune parole di difficile interpretazione:
“Perché si fece ungere? E come re?” Si domanda Simone lo zelota, interrompendo il figlio di Zebedeo.
“Allora ci avvicinavamo a Gerusalemme per aiutarlo a prendere possesso del trono dell’unto del Signore! Mi pare che alcuni tra voi commentarono proprio in questo senso.” Precisa Matteo. “Mi colpì però l’affermazione che il Nazareno fece dopo il gesto della donna: è una unzione per il mio funerale! Noi non avevamo fatto particolare attenzione ai numerosi riferimenti alla sua morte presi dalle prospettive di gloria implicite nella figura del Figlio dell’Uomo.”
“Come voi, anch’io immaginavo il ruolo da svolgere nel regno che stava per venire”. Confessa Simone. “Era stato lui a declamare: non farete a tempo a recarvi in tutte le città d’Israele prima che sia arrivato il Figlio dell’Uomo! Ricordo che, nel sentire quest’espressione, fissai lo sguardo di Matteo, il quale aveva appena sollevato gli occhi dagli appunti che, come al solito, cercava di prendere quando Gesù parlava.”
“Invece”, esclama Tommaso, “dopo tutto questo esaltare il Figlio dell’Uomo, il Regno di Dio, il governo delle dodici tribù, le prospettive apocalittiche, queste sue parole, mentre gli venivano unti i piedi, sono divenute la chiave di volta per interpretare le sue reali intenzioni.”