L’industria cinematografica ci ha abituato ad un uso strumentale dei vangeli, una pretesa di verità a basso prezzo anche quando è priva della carica eversiva di alcune tematiche, non usa crude scenografie o si avvale di fantasie di romanziere. Di recente è stata proposta un’altra versione di Maria Maddalena col proposito di riabilitare la donna proponendo con dolcezza la sua ribellione in contrasto con la verità proposta dai vangeli. Il regista riesce a canalizzare un’empatica energia indugiando sui silenzi per creare un’accattivante atmosfera; purgata da eccessi di realismo. Il film non annoia perché si giova dei primi piani del volto di Maria, al quale la protagonista conferisce molta luminosità espressiva grazie ad un’ineccepibile recitazione. La fotografia esalta i grandi spazi e rende suggestivi i paesaggi, immagini tratte da varie regioni del nostro Mezzogiorno. Rispetto alla delicatezza di questi fotogrammi il volto di Gesù con la barba incolta e un improbabile taglio di capelli appare troppo ombroso; l’attore non sempre riesce a dare concretezza alle complesse sfaccettature della personalità del Maestro di Nazaret. A colpire è soprattutto il disinvolto uso delle citazioni evangeliche sottoposte ad una lettura fuorviante funzionale alle necessità della tesi di fondo. Perciò, senza alcun problema di esegesi, si procede ad omissioni di ogni genere e ad autentici falsi per esaltare la radicalità di un film che, alla tentata riabilitazione di Giuda per propagandare il messaggio dell’omonimo vangelo apocrifo, affianca un collegio apostolico impegnato in un improbabile dialogo per portare a termine un progetto politico che trova il suo ispiratore in un invidioso e risentito Pietro, che suscita antipatia. Garth Davis toglie ogni mordente a questi uomini a beneficio di Maria la quale a Cana, in una circostanza fondamentale ma totalmente inventata, viene presentata addirittura come la maestra del suo maestro! Dopo una monocorde sequela d’immagini, l’uditorio è pronto a recepire il messaggio principale, per nulla religioso e totalmente sociologico e culturale, della realizzazione della donna anche se non prende marito e fa dei figli identificandosi nel solo ruolo di moglie e di madre. Il regista, profittando di una scarsa conoscenza dei vangeli e della pubblica emotività, ha facile gioco nel descrivere un Regno al quale sono inviati i discepoli di Gesù. Come ritiene la Maddalena, si tratta di uno stato mentale e non di un evento storico. Di Maria è raccontata la vocazione mentre percorre vie polverose e accidentate per rispondere alla chiamata interiore che la rende una preziosa eccezione nel contesto dove vive. Primizia del presente, ella è attirata da un Mare-liquido amniotico nel quale sparge il granello di senape. A seminarlo è una donna che fa rivivere le argomentazioni dei cristianesimi perduti studiati dallo statunitense Bart Ehrman, formatosi alle tesi di Elaine Pagels, esaltatrice della gnosi del vangelo di Maria, divulgatore dell’iniziazione spirituale da intendere come possibile salvezza della ragione assegnando il primato alla mera conoscenza, senza bisogno dei riscontri fattuali della storia della salvezza. A questo fine, secondo il regista, la Maddalena avrebbe stretto un patto con le altre donne coinvolte nella vicenda di Gesù di Nazaret per custodire il segreto del Vangelo interiore negato dalla Chiesa di Pietro e cioè che il Regno è già qui, dentro di noi. Rispetto a questo modo di leggere i vangeli è preferibile un approccio più tradizionale, ma anche più vicino alla verità dei fatti e alle motivazioni che hanno spinto gli evangelisti a scrivere. Un esempio è fornito dall’allegoria del Vignaiolo, della vigna, dell‘azione della Vite vera e dei tralci per discernere e riconoscere il dono di Dio, linfa, forza, coraggio, autenticità che salva se l’Umanità innestata in Cristo è pronta a produrre il vino nuovo. Gesù rivela una novità appassionata e rivoluzionaria, valida per tutti, senza distinzioni di genere: noi siamo il prolungamento della Vite piantata dal Padre e Gesù-vite dona a tutti la sua linfa che non è una idea, ma scorre dentro di noi e rende più vivi e fecondi perché Dio toglie il superfluo per dare forza, elimina il vecchio per far nascere il nuovo, favorisce la circolazione dell’amore che irrora il mondo intero e segna tutte le esistenze. Come è suo solito, quando deve trattare argomenti complessi Gesù ricorre ad immagini della vita quotidiana per rendere accessibile a tutti il suo insegnamento che non è riservato a pochi eletti come pretendevano gli gnostici. Il richiamo ad esperienze concrete agevola la comprensione del messaggio e rende chiaro il ruolo del cristiano nel mondo. L’immagine della vite e dei tralci è carica di contenuti. Nel precisare la sua allegoria Gesù fa riferimento a due distinte operazioni: tagliare e potare perché si porti più frutto; descrive così la continua sollecitudine del Padre. Il suo è un operare non sempre comprensibile perché per il tralcio al momento possono risultare dolorose le prove interiori alle quali si è soggetti, ma superate producono maggior frutto, cioè santità personale e salvezza grazie all’unione con Cristo, la vera Vite. La raccomandazione di Gesù: “Rimanete nel mio amore” è l’invito a realizzare l’unione più profonda perché l’unione tra vite e tralci non è fisica ma di amore. Perciò Egli non ci chiama più “servi ma amici” ponendo come condizione la mutua permanenza e la disponibilità a compiere la volontà del Padre. La sua opera va assecondata. È la santità della porta accanto che fa la differenza. Fedeli e saldi in quello che abbiamo appreso dai primi discepoli, i quali hanno tramandato l’esperienza fatta vivendo accanto al Maestro Risorto, nutriamo la certezza di produrre in abbondanza frutti di gioia non perché condividiamo un’idea di bene, ma perché partecipiamo ad una storia che acquista concretezza e significato quando ci riconosciamo fratelli dello stesso Padre.
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