Purtroppo molti operatori preferiscono appiattirsi sulle mode del momento, scimmiottando ricette che ci vengono narrate dalla vulgata imperante degli chef di grido, con l’utilizzo di materie prime costose o comunque non autoctone.
Eppure non è complicato capire come la strada più agevole sarebbe quella di promuovere in primis i nostri prodotti, ma soprattutto le ricette della tradizione popolare, sia quella contadina che marinara.
Non solo l’olio d’oliva, i vini, le farine, i latticini, ben rappresentati da produzioni di qualità; quanto piuttosto dall’assenza del pesce azzurro e del pescato locale; rispetto agli astici, alle aragoste, alle cozze ed alle vongole e ad una certa ritrosìa a presentare con convinzione il nostro repertorio culinario.
È paradossale come mille anni di Fiera della Frecagnola, con la capra protagonista della gastronomia di Cannalonga, immortalata da una scultura monumentale che ne sancisce il primato, non abbiano insegnato ai ristoratori della zona la centralità che i prodotti caprini dovrebbero avere nei nostri menu.
Parimenti, la regina delle sagre cilentane da oltre trent’anni, quella dei “Ciccimaretati”, regala agli ospiti la semplicità ed il gusto dei “piatti poveri” a base di legumi, cereali, ortaggi e verdure. Una vero trionfo della Dieta Mediterranea, assente quasi totalmente dai listini dei principali ristoranti.
Peccato che anche in questo caso, pochi ne percepiscano il valore, come richiamo identitario e caratterizzante rispetto alla banalità di piatti, spesso scopiazzati e per nulla attraenti, soprattutto per chi volesse apprezzare il Cilento anche a tavola.
Non si vuole considerare la gastronomia come una straordinaria occasione, un autentico giacimento economico e culturale, attraverso cui trainare non solo il settore turistico in senso stretto, ma soprattutto quello agroalimentare.
Analoghe considerazioni possono farsi su tante altre sagre, alcune gestite bene, ma con l’effimera soddisfazione di regalare soltanto pochi giorni di varietà all’offerta enogastronomica.
Un fattore meramente episodico, nella incapacità generale di trasformare questi eventi in un volano per la creazione e la valorizzazione di un vero indotto.
La mancanza di una destagionalizzazione delle attività turistiche nasce forse da una mentalità troppo legata all’occasionalità, nell’accontentarsi di una nicchia che non darà mai una completa autosufficienza, condannandoci alla marginalità.
Una settimana di gloria non serve a cambiare il nostro destino, quanto piuttosto ad arrotondare un bilancio familiare che si regge su altre entrate.
Nel frattempo, ci sono aziende che usano indiscriminatamente il marchio “Cilento” per promuovere prodotti, servizi e location, che nulla hanno a che vedere con questo territorio.
Un fenomeno sicuramente da biasimare, ma da cui trarre una lezione importante: quella di una identità che vale molto più di una semplice sagra, da esibire sempre con orgoglio, consapevolezza e professionalità.