L’ultimo saggio di Massimo Franco, giornalista equilibrato ed attento alle sfumature, è titolato L’enigma Bergoglio. L’autore si propone di individuare la parabola di un papato sottoponendolo a radiografia, come precisa Aldo Cazzullo nella sua recensione pubblicata sul Corriere della Sera, periodico che vede le due felici penne collaborare. Col bilancino del farmacista e col microscopio del ricercatore di microbi Franco commenta l’icona dell’altare nella piazza deserta in quella piovosa sera di fine marzo, le contraddizione dell’anomala corte di Francesco a Santa Marta, le pecche di collaboratori e personaggi apicali della Curia e della CEI, il rapporto divenuto problematico col papa emerito, le relazioni non idilliache con l’Occidente, il pozzo di San Patrizio degli scandali finanziari, i segreti inconfessabili di due cardinali in lite per mammona, la misteriosa ombra delle relazioni con la Cina, tutti elementi che reitererebbero presso i gruppi più conservatori più che la paura, la minaccia di uno scisma.
Se si fa riferimento al senso figurato del termine enigma, dovrebbe emergere la siluette di un personaggio difficile da comprendere per i gesti che compie e gli scopi che lo inducono ad operare. Invece, pare a tutti che di Francesco non si possa dire proprio ciò. I suoi gesti semplici fin dalla sera della prima benedizione dal balcone di San Pietro dopo l’elezione lo hanno trasformato nel personaggio mondiale al quale ci si rivolge con maggiore fiducia per la capacità di parlare col parole comprensibili al cuore mentre illumina la mente, con effetti, quindi, poco enigmatici. Una conferma la si desume dalla attenta analisi del suo magistero, del quale una parte considerevole è costituita proprio dalle encicliche. Quella appena firmata costituisce una ulteriore conferma.
In 123 pagine il papa riassume la ricetta per consolidare la fraternità se praticata, per riscoprirla se si è dimenticato il valore. L’enciclica papale è pubblicata in un momento storico drammatico, segnato dalla triplice crisi economica, pandemica ed ecologica nel mondo, che ha fatto seguito ad anni di luciferino entusiasmo per i successi di una globalizzazione ritenuta virtuosa per la sua capacità di moltiplicare la ricchezza. Invece ha dimenticato una equa distribuzione e i drammatici effetti collaterali per la povera madre terra, altri due concretissimi temi di altrettante poco enigmatiche encicliche. In “Fratelli tutti” si affrontano argomenti essenziali per una giusta e felice ripartenza. L’invito è ad un’analisi della economia attenta alla sua portata umanistica di legge della casa del mondo per consentire il radicamento di situazioni reali e concrete a vantaggio di ogni uomo e di ogni donna. Così essa diventa la manifestazione della cura che si presta a tutti, non mortifica nessuno e vivifica le potenzialità dei singoli perché sempre attenta a preservare la dignità dell’uomo. E’ una economia pronta a proteggere dagli idoli minacciosi della finanza, che causano violenza e disuguaglianze, perché il denaro deve essere utilizzato per servire e non per dominare. Così si genera il vero profitto, ricchezza a disposizione di tutti. Il Papa sollecita di rallentare il ritmo di un consumismo senza senso praticando una serena sinergia con la natura come ha insegnato a fare Francesco d’Assisi, che si spoglia di tutto per scegliere Dio e così diventare fratello universale.
Guarire il mondo significa combattere tutti i sintomi di disuguaglianza che aggravano la pandemia sociale a causa del virus dell’egoismo che rende l’economia sempre più malata. Infatti, una crescita economica iniqua non considera i valori umani, pratica ingiustizie e continua ad essere responsabile del degrado ambientale.
Con le catechesi proposta nel mese di agosto Francesco ha già introdotto in filigrana le tematiche dell’enciclica “Fratelli tutti” che, dopo la Laudato si’ e il documento programmatico del suo pontificato, costituisce il più chiaro invito all’umanità tutta perché cambi registro fin quando é ancora in tempo. Ciò presuppone la disponibilità ad abbattere tutti i muri, innalzati per irrazionali paure ancestrali non superate malgrado il progresso tecnologico; così si considera ancora barbaro tutto ciò che è diverso, da cui bisogna difendersi ad ogni costo. Il fenomeno delle migrazioni ne costituisce la dimostrazione più eclatante, anche se da più parti si sostiene che esse saranno un fattore determinante per il futuro del mondo. Rispetto al fanatismo che detta questi comportamenti, i poteri mondiali si devono impegnare per promuovere un progetto efficace e ridimensionare ogni pervicace individualismo allo scopo di costruire il bene comune. Operare in questo modo presuppone un deciso convincimento che essere il padrone del mondo o l’ultimo scarto non fa differenza davanti alle esigenze morali dell’uguaglianza. Si tratta di principi inalienabili, da non valutare ricorrendo al calcolo dei vantaggi e degli svantaggi, altrimenti il diritto trova labili fondamenti non su una concezione inossidabile di giustizia, ma sulla proiezione delle idee dominanti e meglio propagandate, opzione che ha sempre comportato una degenerazione verso il basso alla ricerca di compromessi a vantaggio della forza, pronta a trionfare.
La nuova enciclica propone un’attenta analisi della migliore politica con la quale affrontare i problemi più assillanti che affliggono l’umanità. Tra questi emerge quello del lavoro soprattutto in un periodo di profonde trasformazioni nelle relazioni umane e negli stili di vita. A questo proposito un ruolo significativo può essere giocato anche dalla religione per superare divisioni blasfeme, sollecitate in nome di Dio, che invece è Padre di tutti, di conseguenza il riferimento assoluto sul quale fondare il nostro anelito di fratellanza alla quale il papa si appella per consolidare la speranza di pace e di benessere dell’umanità.
Non pare di riscontrare qualcosa di enigmatico in queste argomentazioni per cui la parabola che si pretende d’intravedere nel pontificato di Francesco probabilmente è frutto delle premesse culturali, ideologiche e comportamentali radicate in un Occidente sempre più stanco ed in arretramento, ma che continua a sollecitare la pretesa di essere l’unico inappellabile giudice nel valutare le vicende dell’umanità. Basterebbe capovolgere un po’ i riferimenti di base per cogliere gli aspetti più luminosi e coerenti dell’azione del papa. Ad esempio, se i giornalisti fossero disposti ad analizzare con una particolare attenzione le problematiche che emergono dal ministero pubblico di Gesù, vera fonte di ispirazione per un pontefice e non potrebbe essere altrimenti, allora cadrebbero tante riserve, distinguo, affermazioni del tipo “da Francesco ci aspettiamo di più”. Il contrasto insanabile che ha segnato anche la fine di Gesù è stata l’inconciliabile rivalità tra la piccola tradizione radicata tra i poveri della Galilea e la grande tradizione difesa dall’interessato formalismo giuridico del Tempio e dei sommi sacerdoti. Gesù ha sollecitato il ridimensionamento della sacralità delle ritualità per rispettare le prescrizioni più sacre della Torah, quelle relative all’anno sabatico ed ai giubilei, regolatori anche delle dinamiche del prestito e della relativa obbligatoria remissione. Erano tutti elementi che proponevano la rilevanza sociale e non individuale del possesso della terra perché potesse germinare carità e non foraggiare mammona. Un vero enigma è perché l’alta finanza continui a praticare il suo interessato credo nonostante i progressivi guasti pervenuti ad una soglia estremamente minacciosa, perché intelligenti, motivati, disinteressati intellettuali continuino a fornire motivazioni apparentemente valide ripercorrendo così lo stesso tragitto che ha visto protagonisti i farisei duemila anni fa.
LR