Si è soliti tratteggiare un personaggio partendo dall’anno in cui è nato, dalla professione svolta o dai ruoli ricoperti. Viene fuori così uno scritto ingessato, che non lascia intravedere cosa ha spinto realmente un uomo a battersi, a dare un senso non solo alla sua vita, ma anche al territorio in cui è nato e cresciuto. Non ho avuto modo di conoscere l’avvocato Franco Chirico – e spero di potergli stringere la mano quanto prima – ma ho cercato di comprendere e, quindi, di divulgare la ‘sua missione’ attraverso le pagine del suo libro Il Cilento deve cambiare, pubblicato nel 2011.
Quando ci si accinge a cercare notizie sul Cilento, vengono fuori quasi sempre le sue peculiarità: mitologia, storia, cultura, ambienti inesplorati e incorrotti. L’autore, invece, attraverso il saggio, intende dapprima «sollecitare, stimolare, riproporre all’attenzione degli amministratori locali, delle forze politiche e della società civile lo sviluppo del Cilento». Fornisce, poi, un’analisi del contesto socio-economico per capire se ci sono le condizioni per promuoverne la crescita. Tra le proposte indicate leggiamo di un nuovo modello di sviluppo, che si fonda sulla valorizzazione delle risorse locali e sul rafforzamento dei settori produttivi. Infatti, esorta il lettore ad agire: «Non c’è più tempo, le condizioni per una inversione di rotta ci sono ma bisogna unirsi». Lo fa anche tracciando un disegno complessivo di sviluppo intorno a cui aggregare le forze imprenditoriali, economiche, sociali, istituzionali e politiche della realtà cilentana. Ma prima di proporre soluzioni, cerca di capire dove ha origine la crisi e quali i possibili rimedi. «Sono sempre più convinto che il Cilento, la terra dove sono nato io, mio padre, mio nonno, il mio bisnonno, mia moglie e miei figli, è in affanno perché il suo tradizionale modello di sviluppo non è più adeguato alle sfide poste dalla globalizzazione dell’economia e della società della conoscenza». Infatti, Chirico nasce a Vallo della Lucania nel 1934. Si iscriverà alla Facoltà di Giurisprudenza, presso l’Università di Napoli, diventerà successivamente avvocato, ma spenderà la sua vita, lavorando con testardaggine e passione per il Cilento.
«Sono convinto che sia essenziale un impegno collettivo forte, emotivo. Occorre una ripresa di coscienza da parte di tutti i cittadini che credono nel futuro come costruzione e fatica, impegno e responsabilità. Occorre un programma forte, chiaro e condiviso». Interrogativo, che spesso ci poniamo e che lui stesso pone è: perché il Cilento arranca e non cresce? I motivi sono molteplici, ma tre sono i principali: il primo riguarda le condizioni esterne al sistema imprenditoriale, ovverosia la marginalizzazione dell’area rispetto alle principali vie di collegamento (gli imprenditori lamentano scarsa accessibilità); la morfologia accidentata; i piccoli comuni poco inclini a perseguire obiettivi comuni; un indice di vecchiaia superiore alla media ed emigrazione dei giovani; la cultura del posto fisso da trovare tramite raccomandazioni ecc. Il secondo riguarda gli elementi critici del sistema delle imprese, ne sono un esempio sistemi e tecniche colturali arcaici in agricoltura. Il terzo, l’impatto dei fattori culturali sulle modalità di sviluppo del territorio, come la mancanza di una cultura imprenditoriale. Analizza anche i singoli settori produttivi, punti di forza e le debolezze dell’economia locale, partendo dalla corrente, secondo cui il Mezzogiorno non è cresciuto a sufficienza, causa carenza del capitale sociale. Ai punti precedenti si aggiungono, poi, la tendenza all’individualismo; lo scetticismo nei confronti dell’innovazione; la mancanza di una vera classe dirigente, capace di guidare una comunità, partendo dalla puntuale analisi del dottor Ubaldo Scassellati.
Ma il Cilento non ha solo elementi socio-culturali negativi. I punti di forza – che rappresentano un punto di partenza per il rilancio dell’area – sono: il territorio e la sua unicità; le risorse ambientali, paesaggistiche ed archeologiche; le riserve d’acqua; i prodotti tipici e il riconoscimento della Dieta Mediterranea; crescita del turismo ambientale; i bassi tassi di criminalità. A questi, si aggiunge il fatto che una parte del territorio ha aumentato il capitale fisso, costituito dalle opere realizzate. Vale a dire sicurezza idraulica del territorio; l’acqua per tutti gli usi; la qualità delle condizioni igieniche personali e ambientali; distribuzione irrigua; viabilità rurale.
Nel volume mette in evidenza anche alcune realtà organizzative e imprenditoriali, fondate da lui stesso. Oltre ad aver esercitato la professione di avvocato, Franco Chirico è stato presidente del Consorzio Irriguo di Miglioramento Fondiario di Vallo della Lucania dal 1964. Presidente del Consorzio Velia dal ’78 al 2002 e successivamente dal 2005 ad oggi. È stato fondatore della Banca del Cilento dal 1990 al 2011, nonché cofondatore della Fondazione Alario per Elea-Velia. Infine, ha costituito ex novo una rete di soggetti nuovi con finalità di pubblico interesse, tra cui il Consorzio Centro Iside; la società Idrocilento; la Cooperativa Cilento Servizi. Acuto più che mai, mettendone in luce le risorse, chiarisce: «Può darsi che qualche lettore si ponga la domanda: perché mai questo avvocato Chirico parla con tanta passione della Fondazione Alario che lui stesso ha fondato […] e delle altre aziende che fanno capo a lui? Aspira a qualche riconoscimento importante?». Prosegue: «Non aspiro più a niente. Se avessi avuto l’ambizione, che so, di fare il deputato o il senatore, be’, mi sarei mosso almeno 20 anni fa. Non l’ho fatto perché non mi interessava la carriera politica. Se uno si impegna, deve farlo nell’ambito in cui crede di rendersi più utile. Io ho creduto e credo nell’impegno civile e nello spirito di servizio per la nostra comunità».
Chirico indica una «rotta» e un «metodo di lavoro»: quello della coesione delle forze sociali e delle proposte che possono costituire una base per aprire un vero dibattito sullo sviluppo dell’economia cilentana. Esorta, pertanto, i cittadini a comprendere il senso di urgenza. Bisogna prendere «coscienza dei nostri ritardi, delle nostre manchevolezze, delle nostre meschinità e, senza più indulgere ai vizi antichi, gettare il nostro cuore di cilentani oltre gli ostacoli».
Informa la comunità locale «di quanto è stato fatto in questi ultimi anni e di ciò che si dovrebbe fare per promuovere lo sviluppo dell’area», facendosi portavoce. Ma lo fa concependo «la carica come una missione, un’opportunità per realizzare un programma di rinascita e non come un’occasione per ricevere indennità, riconoscimenti ecc». Il suo è un invito a «non lasciarci sfuggire le occasioni. Smettiamola di essere divisi e incapaci di produrre le scelte coraggiose che si impongono. Dove sta scritto che la mancata valorizzazione delle risorse locali, l’irrazionalità dei sistemi di conduzione, lo spopolamento delle campagne, e la debolezza del sistema imprenditoriale devono continuare anche nel futuro?».
Franco Chirico intravede un Cilento frammentato, diviso, non armato dal senso comune. Il suo invito si lega alle tante esortazioni di chi ogni giorno si impegna affinché le ‘cose non scivolino via’, un voler accendere le coscienze. Perché no anche delle nuove generazioni, spesso dotate di progetti, privi dell’energia necessaria. La sua vita è stata accompagnata dal desiderio di voler cambiare le cose, attraverso gli impegni svolti, ma anche tramite dibattiti o discussioni. Dal 2011 molte cose sono cambiate in Cilento. Ma l’invito ad agire, a non perdersi d’animo, a combattere per una causa comune è sempre valido.
Anais Di Stefano