Ombre, luci, volti che si susseguono. Sguardi che osservano in lontananza, corpi che si fondono con paesaggi squarciati dal sole. Struggenti tramonti che si infrangono nel mare. Realtà aride, sofferte e tragiche. Frammenti di vita quotidiana catturati per sempre.
Una fotografia esercita un fascino magnetico su chi la osserva per la sua capacità di trasformare storie individuali e momenti storici in opere d’arte.
Nel panorama delle mostre d’arte, in programma questa estate, spicca “Fotografe! Dagli Archivi Alinari ad oggi”, un ricco percorso espositivo curato da Emanuela Sesti e Walter Guadagnini, con opere che, a partire dalle origini della fotografia, attraversano il Novecento per giungere ai giorni nostri.
La mostra, promossa dalla Fondazione Alinari per la Fotografia e dalla Fondazione CR Firenze, in collaborazione con il Comune di Firenze e Mus.e., in programma dal 18 giugno fino al 2 ottobre nello splendido scenario delle sedi di Villa Bardini e di Forte Belvedere a Firenze, presenta al pubblico una selezione di opere di artiste professioniste, sperimentatrici e dilettanti illustri che hanno fatto la storia della fotografia.
“Fotografe!” si sviluppa in particolare attorno al tema del ritratto fotografico, partendo dalle pioniere della dagherrotipia, il primo procedimento fotografico, presentato all’Accademia delle scienze di Parigi nel 1839, ideato dal pittore e scenografo Louis-Jacques-Mandé Daguerre. Tra le precorritrici dell’utilizzo della dagherrotipia troviamo Bertha Beckmann, la prima fotografa professionista conosciuta in Europa che, intorno alla metà dell’Ottocento, riuscì a svolgere la propria attività anche dopo la morte del marito, il fotografo Eduard Wehnert, nonostante la cultura del tempo ponesse le donne in una posizione marginale.
In questo coinvolgente viaggio al femminile si susseguono nomi noti sul piano internazionale, come le statunitensi Margaret Buorke White, prima donna fotografa di guerra per il settimanale “Life”, Dorothea Lange, che curò reportage sulla Grande depressione americana, e Diane Arbus, artista indipendente che ritraeva i soggetti nelle loro diversità in modo non convenzionale.
A catturare l’attenzione dei visitatori sono le sale dedicate alle sorelle Wulz, grazie anche al contributo di “Calliope Arts”, ente no profit con sede a Firenze e Londra, che promuove la conoscenza del patrimonio culturale delle donne.
Wanda e Marion Wulz, di origine triestina, apprendono l’arte fotografica dal padre Carlo, al quale subentrano dopo la sua morte nella gestione dello studio fotografico di famiglia, aperto a Trieste nel 1868 dal nonno Giuseppe Wulz. L’attività di Wanda raggiunse il suo apice agli inizi degli anni Trenta, quando, apprezzata da Filippo Tommaso Marinetti, fondatore del movimento futurista, divenne un’indiscussa protagonista della fotografia futurista, riuscendo ad affermare, attraverso i suoi ritratti femminili, un nuovo modello di donna, capace di coltivare le proprie passioni. Celebre la sua opera “Io+gatto” del 1932, ottenuta sovrapponendo due negativi: la giovane Wanda si è ritratta col proprio gatto, dando vita a una creatura affascinante e al tempo stesso inquietante che fissa lo spettatore con un occhio felino e uno umano, in una ricerca fotografica innovativa, lontana dalle pose statiche del tempo.
Marion, invece, sebbene spesso rimasta all’ombra della sorella, predilige tra i suoi soggetti fotografici ballerine, come Nini Perno e Alba Wiegele, la schermitrice Irene Camber e la sorella Wanda, realizzando ritratti magnetici.
Una sezione è poi dedicata a Edith Arnaldi, un’artista poliedrica, esponente del Futurismo, nota con lo pseudonimo di Rosa Rosà, i cui ritratti realizzati nei suoi viaggi e nel suo studio romano rivelano la sperimentazione fotografica dell’autrice.
Ad arricchire il percorso espositivo sono le analogie, le interpretazioni e le suggestioni che scaturiscono dal confronto delle opere delle ritrattiste e documentariste di ieri con quelle di dieci giovani artiste contemporanee italiane, tra cui, per citarne alcune, Federica Belli, Myriam Meloni, Giulia Parlato e Sofia Uslenghi, rappresentanti della generazione che, nata dopo il 1980, si sta affermando in Italia e all’estero. Uno degli intenti della mostra, infatti, come afferma Giorgio van Straten, presidente della Fondazione Alinari per la Fotografia, è quello di “mettere in comunicazione e dialogo lo straordinario patrimonio del passato che possediamo con la cultura contemporanea, per farne elemento vivo e stimolante, capace di suscitare non solo memoria, ma anche futuro”.
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