Il rapporto ecomafia 2020 di Legambiente registra per la Campania un’impennata del 44% rispetto ai reati accertati di illegalità ambientale. A spartirsi la torta, accanto ad imprenditori, funzionari ed amministratori pubblici collusi, oltre 90 clan attivi in diverse filiere: dal ciclo del cemento a quello dei rifiuti, dai traffici animali fino allo sfruttamento delle energie rinnovabili e alla distorsione dell’economia circolare.
La soppressione del Corpo Forestale dello Stato, ad opera del decreto legislativo n.177 del 2016 in esecuzione della legge Madia, che ne ha previsto l’assorbimento nell’Arma dei Carabinieri, avrebbe insomma finito col fare un gran favore ai boss. Una professione con uno know how specifico, spesso sentinella per preoccupanti micce di devastazione del nostro patrimonio verde, che si è vista progressivamente spoliata di poteri e campi di intervento. La preparazione del Corpo Forestale arriva da decenni di lavoro sul campo e di conoscenza delle aree boschive. Competenze che hanno sempre coadiuvato il lavoro degli altri corpi nazionali, chiamati ad intervenire. Una valutazione di importanza che, forse, va oltre la protestata violazione della “Convenzione europea dei diritti dell’uomo” per la libera riunione e associazione per cui l’assorbimento è stato contestato. La militarizzazione del corpo, o meglio, la sua rottamazione, ha comportato, piuttosto, una perdita di organicità nella tutela dell’ambiente, che, affidata all’Arma dei carabinieri, sarebbe “diventata esclusivamente repressiva senza alcuna opera di prevenzione del reato”, scrive il comitato “Foresta Foresta”, promotore della campagna #Salviamolaforestale. Il ruolo della ex forza di polizia ambientale, dipendente dal ministero dell’Agricoltura, era quello di tutelare e valorizzare il patrimonio ambientale, garantire la sicurezza agroalimentare e assicurare il rispetto della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione. Funzioni per cui erano state maturate competenze specifiche e di alto livello, oggi più che mai necessarie, considerato il periodo di auspicata transizione ecologica. E se abbiamo un Ministero, che vuole farsi mente per un “pensiero unico” che smetta di slegare le esigenze economiche da scelte sostenibili in campo ambientale, non abbiamo forse bisogno di un corpo che possa esserne una diretta applicazione?
Francesca Schiavo Rappo