Lungo il fiume Calore durante l’Ottocento si svolse il Far West del Cilento. Lotta dura di veri duri. Giacobini e briganti legittimisti, borbonici e francesi, galantuomini possidenti contro chi non aveva niente. Spesso tutti contro di tutti, ma senza dichiararselo apertamente. “Simo breanti re lo Re Borbone e lo Ciliento tutto nui giramo… “ era lo incipit del loro inno- Sì, bel un po’ di West italiano si svolse da queste parti. L’arrivo dei piemontesi avvenne in un’annata agraria particolarmente grama. “Voi che destinati foste dalla Provvidenza, a godere le delizie che la natura, le scienze e le arti hanno profuso a dovizia in questa parte meridionale d’Italia, seconda valle dell’Eden… “. Nel 1863, il brigante Giuseppe Tardio, avvocato colto, lo scrive ai suoi compaesani di Piaggine e la premessa sembra essere quella della fame che era sull’uscio di casa. Il greto del fiume Calore Salernitano, sessantatré chilometri, da Piaggine ad Albanella, è stata sempre la strada a scorrimento veloce di una popolazione di pastori e bovari che, nei tempi di pace, d’inverno svernavano in una Piana del Sele paludosa e malarica e che, sconfinando, si spingevano fin nella zona di Metaponto. Nei periodi di grande sommovimento mettevano questa loro grande conoscenza del territorio al servizio della loro parte. Il centro operativo è sempre stato palazzo Tommasini affacciato sul ponte con la cascata sul fiume Calore, la chiesa di San Simeone e via Agricola, da dove iniziavano le transumanze. Nicola Tommasini, nel 1799 era un modesto tintore, mise una banda di oltre cinquecento uomini che combatterono i giacobini in tutta la zona, andarono fino a Moliterno e poi seguirono il cardinale Ruffo nella sua corsa verso Napoli. In Terra di Lavoro parteciparono a sanguinosi combattimenti. Sotto la sua abitazione ci sono oltre un chilometro di cunicoli sotterranei, le sue vie di fuga. Mazzarella fu il meno politico di tutti. Tardio morì nel carcere di Favignana, forse avvelenato. La sua macchia nera, ne parliamo in altra parte di questo libro, fu l’assassinio in pubblico di padre Giuseppe Feola, da Campora. L’ingegnere Pasquale Di Perna è il proprietario della cosiddetta “tenuta del Castelluccio”. Sono quaranta ettari di gole del fiume Calore, tutte in zona a massima tutela da parte del Parco del Cilento. All’interno ci sono le grotte dei briganti. Il sentiero parte dagli “ Scanni di Don Enrico”, prosegue con panoramiche mozzafiato e vista sul sottostante fiume. Si scende poi a valle sul greto del fiume con anfratti e grotte, i rifugi dei briganti, sconosciute anche ai locali. Si accede attraverso un buco nascosto dalla vegetazione. Il naturalista può seguire un ramo del sentiero che costeggia la riva destra del fiume Calore e dove è possibile scendere nell’alveo vedere e toccare con mano l’azione millenaria dell’acqua che ha disegnato nella roccia pareti, pozzi e canali di particolare bellezza. “C’è l’assenza assoluta di rumori della cosiddetta società “civile” e dove si ascolta invece un’orchestra a più elementi quali le foglie della numerosa e folta vegetazione fluviale, mosse dal vento che s’incunea tra le gole alte e ripide”, racconta l’ingegnere. E’ possibile anche pernottare in comode e confortevoli stanze messe a disposizione da famiglie locali, il tutto a prezzi modici. Il brivido dell’avventura è compreso nel prezzo. Fantasie? No, a vedere un mortaio scavato nella roccia in cui i briganti preparavano la polvere da sparo. Le sorprese non finiscono qui perché vicino alla spettacolare cascata, purtroppo tale solo nel periodo invernale, in quel che restava della chiesa, di culto ortodosso, di San Simeone si può deliziare il proprio palato assaggiando la cucina altocilentana con lasagne in crema di lattuga, cannelloni di ricotta di capra gratinati al forno su letto di funghi misti con porcini, scarola ripiena al forno, capretto al forno, melanzane alla cilentana, arrosti di vitello piagginese.
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