È prossima la chiusura del santuario della Madonna del Monte e proprio in questi giorni è stata annunziata la concreta possibilità di elettrificare il Gelbison, un’opera pubblica che consente di riflettere sulle nuove opportunità di sviluppo per la Valle di Novi.
Le pubblicazioni di don Luca Petraglia potrebbero rivelarsi una utile guida per la necessaria progettazione, ad esempio il suo Monte Gelbison e il Santuario. L’edizione del 1933 è ricca di riferimenti circa la formazione geologica della montagna. L’autore dedica particolare attenzione alla Dentrografia, ne elenca la ricchezza, come fa per la Micetologia, miniera di opportunità poco sfruttate. Desta meraviglia, perciò, il fatto che i responsabili del Parco nazionale non abbiano già provveduto ad una ripubblicazione del saggio per mettere a disposizioni di chi, e sono purtroppo ancora pochi, intende valorizzare i prodotti spontanei della montagna. Don Luca li elenca riportandone qualità e modalità di uso citando medici e scienziati del tempo, stimolo per una produzione a chilometro zero. Non mancano i riferimenti alla fauna. L’autore descrive con particolare cura il colorato mondo delle farfalle, dimostrazione dell’amore di un attento osservatore per la sua montagna quando non era impegnato ad animare la vita nel santuario perché chiuso ai fedeli. Estremamente utile ed attuale risulta anche la sezione dedicata all’idrografia ed al bosco del quale egli coglie il valore anche economico. Le prime cento pagine del saggio terminano con la descrizione delle vicende atmosferiche col particolare risalto al meteorismo per spiegare i danni che sovente determina alle costruzioni sul cucuzzolo della montagna.
La seconda parte è interamente dedicata al santuario. Il riferimento alle attività liturgico-devozionali è molto stringato; invece diffusa è la descrizione dei lavori intrapresi e dei quali si forniscono interessanti fotografie. Molti sono i fatti e le situazioni che agevolano una lettura sociologica ed antropologica. Un esempio è fornito dalle dieci pagine dedicate ai balli che i pellegrini organizzavano in onore della Madonna, prassi della quale si è perso l’uso, ma un tempo ben radicata nelle dinamiche socio-culturali del popolo. Don Luca riporta anche la drammatica esperienza degli effetti di un fulmine che stava per colpire l’immagine della Vergine e conclude col concitato arresto di chi aveva perpetrato un furto in chiesa, squarcio di vita quotidiana che aiuta a comprendere la condizioni della maggioranza della popolazione che, pellegrina, si recava sulla vetta.
Pare che un’associazione si sia impegnata a ripubblicare il lavoro. La lodevole iniziativa dovrebbe far riflettere sull’importanza dell’archivio del santuario. Non conosco la consistenza del materiale documentario, ritengo però che il responsabile diocesano dovrebbe fare carico di verificare ed approntare un inventario completo. L’importanza è attestata non solo dai saggi di don Luca, ma anche da alcune pubblicazioni precedenti. Riportano fatti e circostanze estremamente utili per ricostruire una devozione popolare più che agli aggiornamenti catechetici tentati con poco frutto negli ultimi anni. Ad esempio, se si consulta il primo numero degli Annali della Sacra Montagna, pubblicato nel 1891, si individuano tanti riferimenti relativi alla massa dei fedeli che frequentava il Santuario. Interessante non è tanto attestare la concretezza materiale dei fatti riportati, ma cogliere le dinamiche del profondo che guidano i pellegrini, soprattutto i tanti che attestano di aver ricevuto grazie per le quali offrono non molto denaro, molti, prodotti della campagna – come il grano corrispondente al peso del bambino nato dopo tante difficoltà – e cera promessa come voto, espressioni tutte di una dignitosa povertà. Sono scritte le pagine che riportano questo tipo di attestati per la prassi, ormai dimenticata ma che potrebbe essere reintrodotta, di dichiarare dichiarazioni, termometro del rapporto devozionale col santuario. Nel locale, ora adibito a negoziodi articoli sacri -dove sembra dominare un’aura che festeggiare più mammona e meno il bisogno di esaltare un riconoscente ringraziamento, stimolato da una auspicabile gentilezza per la capacità di ascolto -, un chierico registrava i racconti che il rettore deciso di pubblicare nel 1891. Più che il lodevole proposito riportato a p. 141 di “pubblicare in dettaglio le opere eseguite sul Sacro Luogo per in gradimento e decoro dello stesso; nonché quelle che sono in corso di o prossimi a cominciarsi, affinché i divoti (sic) sapessero che, sul Santuario annualmente si spende e le spese si fanno sempre, perché (verrà tempo) trovassero sul Santuario tutte quelle comodità che possono desiderarsi” , costituiscono un diletto dell’animo testimonianze come quella della donna, della quale non si riporta il nome, p. 130-1: “Si appressò, passo evangelico della vedova presso il tesoro del tempio!
L’elettrificazione del Gelbison può trasformarsi anche in una buona occasione per fare luce all’interno del santuario e venire a capo di alcune opacità chiarendo, ad esempio, una vicenda che coinvolge il suo tesoro più prezioso: l’icona della Madonna. Pare opportuna la domanda: il simulacro attualmente venerato è quello di sempre o si è operata qualche resosi necessaria per porre a qualche evento imprevisto?
A questo proposito sono tante le voci che circolano e non solo a Novi, una loro eco è rimbalzata anche tra gli immigrati negli Stati Uniti, dove una confraternita di connazionali ogni anno organizza la festa in onore della Madonna del Monte. Ora, come mi è capitato di verificare, nelle abitazioni della Valle di Novi fino agli anni Trenta del secolo scorso si esponeva una foto o un ritratto che non corrisponde all’attuale statua. Da una attenta osservazione emergono evidenti differenze, avvalorate dalle pubblicazioni di don Luca. La validazione di ciò nella foto del 1889 relativa all’incoronazione dell’icona. Non mi pare che la letteratura stampata dal Santuario nell’ultimo mezzo secolo abbia fornito una esauriente spiegazione non solo delle discrepanze iconografiche, ma anche della fine che aveva fatto l’antico simulacro.
Il progetto di illuminazione del Gelbison può risultare una felice occasione per una vera ripartenza e stimolare non solo il turismo, come si propongono in tanti, ma dare novello contenuto al pellegrinaggio. Ovviamente tutto ciò comporta una accresciuta attenzione e una concreta determinazione nelle decisioni da assumere. A questo proposito, diventa determinante il ruolo della Curia e di chi in ultima istanza dovrebbe animare le scelte pastorali. Forse risulta opportuno ricordare quanto scrive il vescovo Gregorio di Nissa in La vita cristiana: “Chi ha responsabilità su altri si comporti come un coscienzioso educatore che cura con sollecitudine i fanciulli affidatigli dai genitori. Se vi sarà tale rapporto di intesa e di affiatamento fra chi guida e chi ubbidisce, l’ubbidienza diverrà gioiosa e il comando piacevole”.