Cannicchio è una frazione del comune di Pollica, il suo caseggiato è disteso sul crinale di un colle. Un complesso urbanistico affascinante, con i suoi vicoli, gli antichi archi, i torrini e i suoi scorci, che evidenziano chiaramente una struttura costruita a scopo di difesa. Pare che da qui provengano gran parte delle famiglie poi stabilitesi in Acciaroli, informa il sito web del comune di Pollica, altra suggestiva, incantevole e paradisiaca località. Ed è sempre qui che l’11 giugno 1840 nacque Federico Piantieri, il cilentano che amò la sua terra e le sue origini, quasi certamente il primo studioso sul dialetto cilentano e vicende popolari, che si appassionò alle liriche ungheresi di Sandor Petöfì, il poeta che amava dire “due cose sole abbisognano al mio cuore, la libertà e l’amore”. Nel XIX secolo, di figure eccelse nel panorama letterario e storico del Cilento, ce ne sono state, molte hanno preceduto questo periodo e ad altre ancora ne sono seguite, lasciando ai posteri ricchezze straordinarie di testimonianze, racconti e opere accademiche. Medesima cosa ha fatto il Piantieri e probabilmente sin da quando ha pubblicato a Napoli, nel 1868, le prime poesie dell’ungherese Petöfì, ha trovato in queste una certa assonanza con l’amore che Egli aveva per il Cilento e verso quella libertà, che decenni addietro e poco dopo la sua nascita fu tanto cercata nella stessa terra, con quelli che furono i Moti del 1828 e del 1848. Dovunque batte un cuore, si ascolta un inno di sentimento, scriveva Piantieri nel presentare la sua traduzione delle poesie di Petöfì, sottolineando che in qualche modo è meraviglioso che poeti stranieri si influenzino alle sintonie del loro cuore, sembrando italiani viventi sotto la luce dello stesso astro che ha ispirato Dante, Foscolo, Parini e altri sommi. Piantieri è affascinato da questo poeta detto “della rivoluzione ungherese” oppure “della democrazia”, lo definisce un poeta eroico che canta senza udire altro che il genio. Scriverà ancora Federico Piantieri nel suo volume a ricordo di Petöfì: “Canta di libertà, canta d’amore, e per la patria sua giovane muore…”!
Piantieri amava anche il dialetto cilentano e volle diffonderlo attraverso i suoi studi e una piacevole pubblicazione, dopo che Attilio Zuccagni Orlandini aveva già pubblicato in quel di Firenze, nel 1864, la sua opera (Raccolta di Dialetti Italiani) dove non vi era traccia, appunto, di quello cilentano. Lo studioso allora ben pensò di indirizzare la pubblicazione ad Ernesto Palumbo della biblioteca nazionale di Napoli, come una lettera scritta ad un amico, attraverso un opuscolo di poco più di dieci pagine e che fu inserito nel periodico il Propugnatore del 1870. Il suo è un inizio di scritto che con forza vuole esprimere l’origine di questa terra, quasi volesse dirigere un messaggio a chi, in passato, andava a sostenere tutt’altro: “In somma il Cilento apparteneva alla Magna Graecia, la quale si disse così non perché i Greci lasciando una piccola Grecia ne vennero qui a fare una grande, ma perché il genio del Lazio, domando e vincendo tutto, superbo di sé stesso gareggiava con l’Ellade ed, accrescendo le bellezze delle lettere, delle arti e delle scienze, volle oscurare il nome della Grecia col dir la sua patria magna”. Era giovane Federico Piantieri nel 1872, era molto giovane, ma era già un eccelso studioso, il fato però volle porre fine alla sua vita nel giorno del 25 agosto, in Acciaroli, aveva solo 32 anni. Nell’agosto del 1920, il nipote di Piantieri, il prof. Angelo Piantieri, pose a memoria una lapide sulla facciata della casa, in Acciaroli, dove lo studioso cilentano animato dagli ideali di Patria si spense. Eccelsi personaggi hanno avuto i natali nel Cilento, sommi letterati e insigni studiosi che oggi gratificano ancor più questa terra, la quale deve essere amata per la sua bellezza e ancor più per la sua storia.