Perno di una trasmissione televisiva d’un trentennio orsono, intorno al quale ruotarono interessanti concetti di matematica e fisica, e sul quale disquisirono luminose personalità scientifiche: quale, tra le due stupende discipline, risulta essere più ostica, più severa, più difficilmente narrabile al pubblico? “A carte scoperte”, presentato da Piero Angela, era il programma durante il quale venne affrontato tale intrigante, avvincente tema; tra gli autorevoli ospiti della trasmissione, Carlo Rubbia, premio Nobel per la Fisica nel 1984. Il termine “matematica” deriva dal greco “màthema”, ossia conoscenza, nasce con la civiltà della Grecia antica. Galilei la inquadrava alfabeto in virtù del quale Dio aveva scritto l’universo; secondo Bertrand Russell, relativamente ai paradossali contenuti della disciplina: “Non sappiamo mai di che cosa stiamo parlando, né se cio che diciamo è vero”. Singolare pensiero, ma ritengo perlomeno parzialmente inquadrabile la bellezza della matematica, risiedente nella sua forma artistica, nei suoi contenuti di poesia da declamare sottovoce, in solitudine; eppure è incontestabile l’aspetto, “meccanicistico”, del suo studio nei licei, nelle università… vengono proposti testi “non originali”, non dotati d’alcun lampo di creatività, scritti tutti nella medesima maniera. Sono rari gli studenti che la amano, la maggior parte di essi la considerano totale negazione dell’arte… Supponiamo un gruppo di 110 ragazzi assai bravi in matematica, ai quali venga prospettato un duplice problema: 1) risolvere una assegnata equazione di primo grado; 2) realizzare il disegno di un paesaggio. Sicuramente si riscontreranno: 110 identiche risoluzioni della equazione, con attuazione di medesima strategia ed immutabili passaggi algebrici; di converso, saranno osservabili 110 differenti disegni, ciascuno d’essi diverso rispetto ai residui 109, insomma 110 paesaggi, ognuno godente di propria autonomia. Assoluta invariabilità risolutiva, da un lato, dall’altro vi è perentorio riscontro d’una “non equivalenza” di espressione artistica. Eppure: perché non considerare la presenza di ipotetiche luci emozionali, luminosità osservabili nel corso della risoluzione di una equazione? Davvero vi è buio totale, completamente assenti pathos e qualunque leggerissimo brivido di natura culturale/elettrica eccitativa? In ogni caso, la matematica non dovrebbe dimorare in uno spazio isolato: essa è entità universale, assoluto dominio (non in limitati aritmetici termini di: “più o meno presente”!, la matematica è entità viva!) della nostra quotidiana esperienza. In relazione a tale universalità, oggi evidenziamo due figure talentuosissime, pure genialità, le cui teorie costituirono pesante ausilio alle opere di un notissimo scienziato. La prima, Mileva Maric, straordinaria mente scientifica, moglie del famosissimo Albert Einstein, ella fu reale autrice di parecchie opere firmate dal grande scienziato di Ulm: i documenti storici valgono perlomeno quanto un teorema; l’altro, Henri Poincaré, enciclopedico matematico e fisico transalpino, percorse tutti i tortuosi sentieri matematici, è considerato “ultimo universalista”. Mileva Maric (1875-1948), matematica e fisica serba, fu collega di studi e successivamente moglie di Einstein; fornì importanti contributi alle opere einsteniane inerenti alla “Teoria della Relatività”, ma un apporto decisivo lo immise in vari lavori scientifici, firmati, però, soltanto da Einstein. Donna dottissima, esibiva naturale inclinazione verso la scienza matematica, aspetto che indusse il padre a consentirle di studiare in Svizzera, in quanto, all’epoca dell’impero austro-ungarico, le donne non avevano diritto di accedere nelle scuole superiori. A Zurigo, nel 1896, iniziò lo studio della Matematica e della Fisica presso l’Ecole Politecnique, in questo ambiente incontrò Albert Einstein. Riporto un passo tratto da “Donne di scienza, 55 biografie dall’antichità al Duemila”, autrici Sara Sasti e Liliana Moro, Edizioni Pristem, Università Bocconi, 2002. Era noto che Einstein avesse delle difficoltà con la matematica. Egli stesso disse nel 1903: “E’ fondamentale l’aiuto di mia moglie. Lei risolve tutti i miei problemi matematici”. Dopo la separazione da Mileva, Einstein si fece sempre aiutare da esperti di Matematica. Secondo Trbuhovic-Gjuric, i manoscritti originali che vennero poi pubblicati nel 1905 negli Annali della Fisica, portavano il nome di Einstein-Maric”. Le due autrici evidenziano una misteriosa sparizione: “Dopo la pubblicazione, lo stesso Einstein avrebbe distrutto questi documenti, contenenti altresì l’opera sulla Teoria della Relatività e le ricerche in virtù delle quali ottenne il premio Nobel per la Fisica nel 1921… Einstein diede tutto il denaro del Premio a Mileva Maric e qualcuno ritiene che questo fosse il riconoscimento privato per la sua collaborazione”. Adesso trasliamo il discorso su un piano di creatività, destano sconcerto e perplessità la conoscenza di episodi concernenti il percorso terreno di Einstein: da bambino palesava problemi di dislessia; parlò con ritardo, imparò a leggere all’età di nove anni; non conseguiva eccellenti risultati in ambito scolastico e durante il ciclo universitario, nel 1895 non riuscì a superare l’esame di ingresso al Politecnico di Zurigo: “Einstein concluse gli studi al politecnico nel luglio del 1900, superando gli esami finali con la votazione di 4,9/6 e classificandosi quarto su cinque promossi. Egli fu l’unico dei laureati a non ottenere un posto come assistente” (Dudley Herschbach, Einstein as a Student, Cambridge (Massachusetts), Harvard University, p. 6). “Nel 1905 vennero pubblicati ben 4 lavori scientifici firmati da Einstein sul giornale Annalen der Physik e che divennero in seguito la colonna portante del suo successo futuro… rivoluzionari articoli fondativi della fisica moderna. Proprio l’estrema velocità con cui Albert Einstein riuscì a portare a termine questi estremamente complessi articoli, pur lavorando a tempo pieno all’Ufficio Brevetti, ha indotto molti a pensare che ciò sia stato possibile soltanto grazie all’aiuto di sua moglie Mileva Marić” (brano tratto da wikipedia). Esprimo il mio pensiero: ritengo plausibile la complicità di Mileva, valuto determinante il contributo da ella apportato nelle monografie e nei trattati firmati da Einstein; studiare e simultaneamente lavorare so cosa significa, può non inficiare il voto apicale negli esami che si sostengono, ma credo sia davvero terribilmente difficile costruire, nell’arco di un anno, 4 creativi modelli matematico-fisici e simultaneamente elaborare/associare 4 complesse teorie scientifiche. A meno che non si provenga da qualche Terra del Mistero valicante le umane Dimensioni dunque assolutamente in grado di svelarci l’atto di nascita ovvero se sia Iddio a infondere Sé stesso o se sia “la composizione” ad acquisire Dio… Se ben riflettiamo, il problema della terrena conoscenza risiede solo in tale dilemma. Adesso inquadriamo l’assai talentuosa personalità di Henri Poincaré (1854-1912) scienziato francese, matematico e fisico aperto alle innovazioni più sconvolgenti. Si interessò di numerose problematiche correlate alla filosofia della scienza, fornì notevoli contributi nel settore della Astronomia. Opinione condivisa dai componenti la Comunità scientifica internazionale, alcune intuizioni di Poincaré sulla Relatività e sulla Teoria dei quanti precorsero le analoghe Teorie elaborate da Einstein. Quest’ultimo riconobbe, esplicitamente, in Poincaré, la personalità scientifica che maggiormente lo influenzò nella elaborazione della Teoria della Relatività Ristretta. D’altronde, per i competenti addetti ai lavori è stato agevole riconoscere l’esteso percento di idee e modelli matematici e fisici ideati da Poincaré, anticipanti quelli di Einstein. Insomma: evviva la relatività dell’originalità! L’elaborazione grafica è un mio disegno (1981), l’urlante personaggio Munchiano l’ho adattato ai temi odierni, parecchie e di varia natura le cause innescanti il suo grido.
Giuffrida Farina