La società di cui siamo espressione e nella quale viviamo appare sempre più violenta e piena di odio. Il risentimento è una esperienza diffusa per cui non deve meravigliarci se anche nel luogo sacro all’educazione si registrano episodi di un triste presente. Si denuncia l’assenza di valori tra i giovani dimenticando che la società non può essere divisa nettamente al proprio interno e ritenerli elemento di dissoluzione perché incapaci di seguire insegnamenti e preservare l’eredità degli adulti. Il mondo della scuola è una componente della società per cui sperimenta anch’essa il risentimento diffuso e il disprezzo per le istituzioni. L’assenza di sentimenti giustizia si travasa nel quotidiano delle relazioni sociali anche nei luoghi di formazione della nostra infanzia e della nostra gioventù. Invocare i valori di una volta è un atto d’ipocrisia perché ogni proposta di autoritarismo è stata messa fortunatamente in discussione e parole d’ordine e la fermezza rischiano di legittimare ancor più comportamenti violenti. Unica alternativa in grado di generare stili positivi è l’esperienza della convivialità, la pratica dell’inclusione, l’invito al rispetto, il reciproco deciso riconoscimento dei diritti e dei doveri e non solo nella scuola, dove si sperimenta un’alternanza poco alternante perché progetti, recuperi, potenziamento non aiutano a garantire una vita serena. Una risposta all’assillo di questa condizione può fornirla il vangelo rifacendosi alle esperienze di Gesù, che era solito osservare fatti e pratiche quotidiane dai quali trarre spunto per rendere comprensibile a tutti il suo messaggio. Nel contesto palestinese di duemila anni fa parlare del pastore buono significava rendere chiaro e familiare il concetto richiamato con tale similitudine e assicurare l’impatto emotivo per ciò che s’intendeva comunicare e per i sentimenti che si volevano ravvivare. Impegnato a sollecitare una riflessione sull’amore, prima di procedere ad un convincente ragionamento, Gesù usa questa immagine per fornire una tenera rappresentazione dell’amore di Dio verso l’uomo; per un popolo che si nutre della Bibbia é facile abbinarla al costante e provvido accompagnamento fatto dal Signore nel pellegrinaggio dal deserto alla terra promessa. Gesù fa riferimento all’ovile nel quale di notte sono custodite le pecore di molti greggi e che, al mattino, si recano al pascolo dopo che hanno singolarmente attraversato la porta e riconosciuto la voce del pastore che le chiama. Per seguirlo bisogna dunque attraversare questa porta e rispondere positivamente alla voce di chi chiama: Gesù é pastore e porta per il cristiano, il quale ogni giorno sperimenta l’efficacia di questa pedagogia di Dio, pronto a ricercare chi si smarrisce. Il simbolismo diventa ancora più evidente quando Gesù paragona il buon pastore e il mercenario e sottolinea il rapporto con chi prontamente riconosce il primo. Nel termine “conoscere” utilizzato a prevalere non è il riferimento al processo intellettivo della conoscenza; infatti, nella Bibbia è possibile conoscere ed essere conosciuti quando sono coinvolti la mente, il cuore, gli affetti, la volontà, è analisi intelligente e determinazione ad agire. Questo passo del vangelo propone numerosi messaggi per mantenere la fede e vivere in sintonia con gli insegnamenti grazie al continuo riferimento all’amore di Dio per l’uomo e alla necessità di sperimentare la stretta unione col Risorto. Pastore buono é il titolo più disarmato e disarmante scelto da Gesù per se stesso, immagine amata e rassicurante fin dai primi secoli della cristianità perché consolatoria nel mentre presenta il pastore forte e combattivo, pronto a lottare contro i lupi per difenderci. Su questa disponibilità all’azione si fonda la sua bellezza, aggettivo usato dall’evangelista Giovanni e che non fa riferimento all’aspetto esteriore. Il fascino e la forza di attrazione sono prodotti dal coraggio e dalla generosità. La bellezza del gesto si articola in una offerta senza sollecitazione di domande, un dono non dettato da pretese, un regalo che non deve essere contraccambiato. Il pastore buono ritiene importante ogni pecora della quale si prende cura per donarle felicità; ecco perché i lupi non potranno vincere. E’ la bellezza racchiusa in ogni atto di amore, che costituisce anche il filo d’oro che lega tutta la storia della Salvezza. Essa non è una ideologia o un sistema di pensiero, non è un codice o un elenco di regole, ma la scelta costante e vincente di Dio nel donare più vita all’umanità e alla singola persona. La paterna attività di Dio nell’offrire la vita è un’azione veramente materna, come quella della vite che dà linfa al tralci, della sorgente che dà acqua viva. Gesù specifica ulteriormente questa rivelazione quando dichiara: “Io sono il pane della vita” (Gv 6,35); “la luce del mondo” (Gv 8,12); “la resurrezione e la vita” (Gv 11,25); “la via, la verità e la vita” (Gv 14,6); “ la vite” (Gv 15,5) e per due volte si descrive come il pastore buono e bello in mezzo alle pecore e nel pericolo le conforta e le salva manifestando la propria solidarietà, amore che riconosce l’identità di ciascuna. È un indirizzo operoso di vita, scandito da sentimenti di gioia che superano le tante ansie quotidiane perché il buon pastore è nostro prossimo, capace di una comunione che trascende i tempi della storia nella auto-rivelazione dell’intimità dell’uomo con Dio. È la prossimità raccomandata ad ogni insegnante, ad ogni leader carismatico, ad ogni responsabile del bene comune; essa sollecita l’urgenza della solidarietà. Immaginiamo solo per un istante un docente che sa essere pane della conoscenza per i suoi alunni, un politico capace di essere luce per i suoi seguaci, guida verso la serenità, testimone della verità, sollecitatore di una vita migliore, allora veramente avremmo la possibilità di affrontare con fiduciosa determinazione le difficoltà del momento perché condotti con mano sapiente. Che il pastore bello e buono descritto dall’evangelista Giovanni sia un invito a meditare, una sollecitazione all’impegno, una speranza per tempi migliori nelle scuole, nelle stanze del potere, nella società presa nel suo complesso.
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