Vicende a tinte nere, operazioni oscure, complessi sotterfugi intercoconnessi con gli innumerevoli atti processuali che confermerebbero in parte, i rapporti tra ambienti politici, eversivi e mafiosi, senza mai trovare un colpevole, un responsabile diretto. Molteplici e pesanti accaduti, che caratterizzano la storia d’Italia, blindata dai segreti di Stato, senza un chiaro segnale di onestà istituzionale, che ha aiutato, negli anni, il lavoro delle aule giudiziarie, sprovviste di seri segnali collaborativi, di testimonianze con le quali, si potrebbero potute capire le cause, i mandanti delle stragi, dei rapimenti, dei delitti e delle scomparse. Una danza macabra, succinta di elementi concreti, tra organizzazioni mafiose, associazioni sovversive e servizi segreti deviati. Come spesso la cronaca ci ha abituato, l’unica cosa a lasciar memoria è il solo esile campo delle ipotesi, formulate su difformi e incomplete dichiarazioni o di testimonianze confuse, spezzettate, ritrattate per paura di ritorsioni, che in alcuni casi però, attraverso coraggiose inchieste giornalistiche o opere letterarie, hanno contribuito ad elaborare delle ricostruzioni, prese in considerazione anche da qualche pm di buona volontà. Questa macchina giudiziaria, spesso inefficiente, rinchiusa nei paradossi, nel risolvere i casi di rilevante importanza in tempi record, sicuramente poco aiutata dagli interessi stessi dello Stato, impegnato a tener ben stretta la bolla ai sigilli più che nella volontà sovrana a destituire le barriere della strada per la verità. spezzettate, ritrattate per paura di ritorsioni, che in alcuni casi però, attraverso coraggiose inchieste giornalistiche o opere letterarie, hanno contribuito ad elaborare delle ricostruzioni, prese in considerazione anche da qualche pm di buona volontà. Questa macchina giudiziaria, spesso inefficiente, rinchiusa nei paradossi, nel risolvere i casi di rilevante importanza in tempi record, sicuramente poco aiutata dagli interessi stessi dello Stato, impegnato a tener ben stretta la bolla ai sigilli più che nella volontà sovrana a destituire le barriere della strada per la verità. spezzettate, ritrattate per paura di ritorsioni, che in alcuni casi però, attraverso coraggiose inchieste giornalistiche o opere letterarie, hanno contribuito ad elaborare delle ricostruzioni, prese in considerazione anche da qualche pm di buona volontà. Questa macchina giudiziaria, spesso inefficiente, rinchiusa nei paradossi, nel risolvere i casi di rilevante importanza in tempi record, sicuramente poco aiutata dagli interessi stessi dello Stato, impegnato a tener ben stretta la bolla ai sigilli più che nella volontà sovrana a destituire le barriere della strada per la verità. Vittima sicura, certo, anche dell’arte del depistaggio. Una specialità tutta italiana, quella della millanteria collaborativa, poi scagionata in un batter di ciglia. Sono sicuramente ingredienti aggiuntivi degli intrighi più complessi, ai quali non si è mai messa la parola fine. È la storia degli “affaires italiani” rimescolati da più di mezzo secolo, come quelli che interessano le circostanze della morte misteriosa dell’imprenditore petrolifero e presidente dell’Eni, Enrico Mattei. Morte avvenuta secondo la prima versione ufficiale dei fatti, per un incidente a bordo del suo aereo privato, il 27 ottobre del 1962 nei pressi di Bascapè. Com’è ben noto ai più attenti osservatori, Mattei è stato, uno dei personaggi più influenti, se non il più influente, del miracolo economico italiano del dopoguerra. Nel 1945, fu nominato commissario liquidatore dell’Agip con il compito di smantellare l’azienda fondata nel periodo fascista. insediatosi però, provò a riconvertire le appena potenzialità dell’ente, sostenendo che la risorsa, era di grande utilità per il paese. Tuttavia, nel 1953, fondò l’Eni di cui l’Agip appena riorganizzata, divenne colonna portante. Questa sua determinazione, spesso guarnita anch’essa da abilità misteriose, fece dell’Eni anche il centro non indifferente di una certa influenza politica, grazie alle possibilità di aumentare i maggiori canali mediatici, come il giornale “Il giorno”, nato per sua iniziativa e con il quale si è avuto modo di contrastare alcune logiche della politica italiana del tempo, inclini agli accordi e agli interessi delle cosiddette “sette sorelle”. Come l’esperienza avventuriera, definita trans-mediterranea, dove Mattei, apriva ai paesi africani e del Medio Oriente, un canale solidale definito paritario, riconoscendo loro la dignità di stati “reali” e non come entità surclassate. Mise in condizione, per l’imbarazzo della classe dirigente nei confronti dell’alleato statunitense, la sobria ridefinizione di una nuova filosofia politica occidentale, che Amintore Fanfani, ricorse a call per smorzare le possibili tensioni, “neo atlantismo”. Personaggio forte, di spessore, lungimirante, carico di ulteriori intrighi; esposto più di ogni altra figura e capace di stringere accordi commerciali con partner stranieri, in modo da segnare il ruolo principale dell’economia italiana nel mondo. La sua morte rimane un mistero, ma alcune ipotesi su essa, formulate da alcune penne autorevoli, sono state ricondotte ad un’altra figura di spicco del periodo. I forti sospetti del suo presunto attentato, cadono infatti, su Eugenio Cefis, suo successore alla presidenza dell’Eni (1967-1971) e membro della loggia P2. Ad avanzare questa ipotesi, sono stati il giornalista Mauro De Mauro e lo scrittore e regista Pier Paolo Pasolini, si guardi il caso, vittime tragiche dell’epilogo del proprio destino. Ovvio, in circostanze altrettanto misteriose.
Il 16 settembre del 1970, Mauro De Mauro, giornalista noto de L’Ora (quotidiano palermitano), veniva rapito da “cosa nostra” e da allora, mai più ritrovato. Nell’ultimo periodo, prima di quella sera, De Mauro raccontava di avere tra le mani un dossier, una cosa grossa, il cui contenuto, mai stato rivelato, scelto l’intera nazione. De Mauro era stato incaricato su commission, dal regista Francesco Rosi nel luglio 1970, a documentarsi sulle due ultime giornate di vita di Enrico Mattei. Probabilmente aveva scoperto dei risvolti scomodi sull’omicidio Mattei ed è quanto stava confermando dalle dichiarazioni di Tommaso Buscetta, nella sua autobiografia curata da Pino Arlacchi, nella quale il pentito afferma: «De Mauro indagando sulla morte di Mattei e aveva ottime fonti all’interno di cosa nostra. Si venne a sapere che De Mauro si stava avvicinando troppo alla verità e di conseguenza, al ruolo che egli stesso aveva giocato nell’attentato». Qui il campo delle ipotesi è molto vasto, da farne un caso nel caso. Ci si estende anche su altre piste, meno avvalorate dagli inquirenti, ma non del tutto irrilevanti, seppur solo in apparenza o comunque riconducibili, come quella del biglietto colpo di Stato avvenuto in Italia qualche mese dopo il suo rapimento, tra la notte del 7 e 8 dicembre del 1970, organizzato da Junio Valerio Borghese di cui il cronista sarebbe venuto a conoscenza.
Pier Paolo Pasolini assassinato il 2 novembre del 1975 sulla spiaggia dell’Idroscalo di Ostia, stava lavorando al suo ultimo progetto intitolato “Petrolio”. Una delle tante ipotesi del movente della sua morte, anch’essa mai stata chiara, come nei casi accennati in precedenza, riguarda la pista riconducibile al contenuto rivelatore della sua ultima fatica – Petrolio – l’opera letteraria più ambiziosa. «Ho iniziato un libro che mi impegnerà per anni, forse per il resto della mia vita, non voglio parlarne però, basti sapere che è una specie di summa di tutte le mie esperienze, di tutte le mie memorie». Petrolio, racconta il lato occulto della storia italiana, un romanzo a chiave, sotto una superficie narrativa dove si nasconde un contenuto anti-narrativo che ha in realtà, lo scopo di denunciare l’altra Italia, quello di cui è stato protagonista Enrico Mattei. La sua è una trasposizione fedele, nascosta dietro nomi di fantasia, degli intrecci di denaro e potere che hanno portato alla morte il “corsaro del petrolio”. Petrolio è un libro delle stragi, la fine di Mattei, la strategia della tensione, i golpe e gli attentati – tutto concepito in un unico disegno eversivo, nell’ombra. Aveva capito, con largo anticipo, alcuni passaggi della vita italiana che poi sarebbero stati analizzati dalla Commissione Stragi successivi. Infatti, con il suo lavoro incompiuto, Pasolini giunge a conclusioni simili a quelle del Pm Calia che, non a caso, includerà Petrolio negli atti della sua inchiesta. Probabilmente, come De Mauro, la sua voce doveva essere messa a tacere.