Punta del Telegrafo è strategica per godersi lo spettacolo di bellezza e di armonia, che dal mare s’inarca verso colline e montagne.
A sinistra Pisciotta e Palinuro con il carico prezioso di storia e miti. A destra la conca di Velia, violentata da urbanizzazione da rapina lungo la costa, luminosa sulla collina con quel castello/sentinella all’area archeologica. Più giù l’Alento ammara lento e rievoca traffici e commerci ai Porti Velini.
La montagna della Stella caracolla a sbalzi accidentati e abbranca la Piana di Casalvelino con la Punta dolcemente dirupante.
Alle spalle uliveti bigio/argento ad invasione di borghi lustri di sole. Sotto, le lamine laviche degli scogli con il mare che ingravida fessure e grotte e s’apre a slarghi azzurri d’infinito. Vi è passata la grande storia dei Greci a scoperta di nuove terre, dei Romani ad espansione di impero e dei predoni a caccia di bottino, ma anche quella minuta dei pescatori speranzosi e vigili sui gozzi a fioco lume di lampara per ingannare alici e merluzzi nelle notti illuni. Ascea onora il toponimo di origine greca (a-schia=senza ombra) con quell’alfa privativa, che ne esalta bellezza di sito sulla collina nella gloria della luce con bei palazzi gentilizi, dove alitano gli spiriti degli eroi delle rivoluzioni. Dal capoluogo si dipanano a raggiera le frazioni: Terradura, ricca d’acque e rigogliosa di vegetazione; Catona, che espone sul pianoro di montagna il Santuario della Madonna del Carmine, meta di pellegrinaggi: (suggestiva la processione del 16 luglio, che si snoda per le strade di campagna alla luce di migliaia di fiaccole/lucciole nella sera); Mandia, solitaria roccaforte tra gli ulivi, in posizione strategica sulla Fiumarella, che feconda d’acque irrigue l’agricoltura di collina. Giù alla marina brutte case per ferie, ville inutilmente pretenziose e campeggi/ carceri di lusso, per l’esercito dei vacanzieri!
La ferrovia perpetua “vergogna” di ferita all’unicum dell’Antica Velia. E l’indignazione sfuma su per la collina a scoperta di foro, templi, teatro, terme e villae lungo un ricamo di tracciati tra vegetazione spontanea di fichi, lentischi e mortelle fin lassù, all’incanto della Porta Rosa, ariosa nella gloria del sole. Qui fu il regno della filosofia presocratica. Vi trionfò il Pensiero di Senofane Parmenide e Zenone. Qui nacque la prima Scuola Medica dell’antichità, che anticipò di secoli quella di Salerno. Ma qui è anche il silenzio assordante e la pigrizia di quanti non valorizzano, con iniziative di respiro internazionale, una grande storia non a caso “patrimonio dell’umanità”. Qui, ma per la verità non solo qui, si materializza quotidianamente lo “scandalo” di un Cilento che non si innerva nel passato per esaltare il presente e costruire il futuro. Eppure stiamo parlando di un microcosmo geografico, ma macrocosmo storico, di una città/mondo, che potrebbe ipotizzare iniziative di ampio respiro. Qualche guida colta rievoca i “porti velini”, affollati di mercanti d’oriente, con acque salutari che alimentavano terme frequentate da vip dell’antica Roma, Orazio e Virgilio a cura di gotta, e Cicerone, ospite di sospirato e gradevole relax nella villa dell’amico Trebazio, che qualcuno ipotizza, più per sentito dire che per documentazione storico/scientifica, tra macchie di lentischi e ginestre lungo la strada di campagna verso Ceraso. Qui, nei coltivi fecondati dall’Alento si sviluppò un’agricoltura di qualità che offrì la materia prima (grano della pianura, olio e vino delle colline) per “la dieta mediterranea”, teorizzata e rilanciata dal grande nutrizionista, Ancel Keys, che stabilì la sua dimora su un promontorio di Pioppi non a caso da lui ribattezzato Minnelea. C’è da cogliere tesori a piene mani da parte di chi ha orecchie aduse all’ascolto dei messaggi dei tesori tramandatici da storia e miti. E, sul territorio, c’è anche una Fondazione che potrebbe e dovrebbe (d’obbligo il condizionale) farlo, rivendicando l’autorevolezza storico/scientifica propria di una Fondazione. Ma, sul territorio imperversano, invece, “ciarlatani” che si autoproclamano “esperti” e profanano la dieta, che, forse, sarebbe più appropriato definire “cibo degli dei” e dovrebbe avere la ritualità di un pellegrinaggio “alla tavola con gli dei”, appunto. Ma così non è. Eppure non mancano belle intelligenze di professionisti stimati, di imprenditori operosi, intraprendenti e lungimiranti, di giovani innamorati del proprio passato e proiettati con entusiasmo verso il futuro. Questo giornale ha dedicato un intero numero ai “CAMMINI”, in vista dell’ANNO DEI CAMMINI che è stato preannunziato di recente dal Ministro dei Beni Culturali, on. Dario Franceschini. Il vasto territorio comunale di Ascea/Velia, che dalla costa trasmigra verso le colline ariose e consente la scalata ai monti fino ai 1800 metri del Gelbison, è un territorio ideale per individuare e tracciare cammini “attrezzati” alla scoperta di belle pagine di storia, di esaltanti reperti archeologici, di riscoperta e valorizzazione di straordinarie bellezze paesaggistiche, di specificità di produzioni agricole (uno speciale cultivar di fagioli di Mandia, per esempio, che si può gustare d’estate nella bella iniziativa di saperi e sapori) la ricchezza delle acque (e penso alla Fiumarella ed al Palistro), gli uliveti secolari, l’aria dei miti che vi si respira ecc. Mi convinco sempre più che Ascea/Velia potrebbe essere assunta a modello di “CAMMINI COMUNALI” in grado di spaziare dal mito alla storia, all’archeologia, ai Beni Ambientali, alle specificità agricole e silvopastorali, attivando tutti i CINQUE SENSI: la vista non per vedere ma per GUARDARE; l’udito non per sentire ma ASCOLTARE; il tatto non per toccare ma CAREZZARE; il gusto non per mangiare ma ASSAPORARE; l’olfatto, non per fiutare ma ODORARE; in cui vedere, sentire, toccare e mangiare, fiutare indicano solo un atto meramente fisico, mentre guardare, ascoltare, carezzare, assaporare implicano una sensibilità più raffinata. In cui è impegnata l’elaborazione dell’intelletto che mette in moto cuore ed anima e scatena emozioni, che si fanno sentimenti, che sono l’humus per fecondare pensieri. Idee, che i greci chiamavano nous e quindi fonti di bellezza e, quindi, di etica e responsabilità di scelta, il xalòs xai agatòs, per intenderci. Il mio vuole essere uno stimolo alla riflessione/elaborazione per dare un valore più alto alla pratica del “CAMMINO”. Ma mi riservo di ritornare sul tema per approfondirlo.