Il mio viaggio di oggi ha per destinazione Alfano, un piccolo delizioso paese delle zone interne del Basso Cilento. Per riscoprirlo ne ripropongo un pezzo che scrissi nella primavera avanzata di qualche anno fa, aggiornandolo.
Nella civiltà contadina la “pietra”, come d’altronde l’acqua, ha avuto quasi sempre valore totemico e l’immaginario collettivo l’ha caricata di simbologia magica e propiziatoria. Questo è accaduto e in parte accade ancora nel Cilento. In tre dei santuari mariani più noti e frequentati, il Gelbison, la Stella e la Civitella, ce ne sono tracce visibili. Nel primo, a poche centinaia di metri dalla cima e quasi nel recinto sacro, la fantasia popolare ha individuato in un monolite all’ombra delle faggete il “manto della Madonna”, con tanto di ditale, ago e filo ad attivare il lavoro paziente della Vergine nell’arte del ricamo. Sulla Stella, in uno degli ultimi tornanti verso la minuscola cappella in uno strapiombo dirupante, è situata “la preta re lo mulacchio”, a cui venivano attribuite capacità di fecondazione per le donne sterili che ne avessero attraversato la fessura stropicciandovi il ventre. Alle spalle del Santuario della Civitella, sulla montagna di Moio, luce nel sole un macigno, su cui il corso dei secoli ha disegnato un incavo che i fedeli hanno interpretato come la zampata del diavolo, che l’Angelo vendicatore rispedì in volo di sconfitta dall’altura del Gelbison, che si erge maestoso di fronte. Sono, questi, soltanto alcuni degli esempi a dimostrazione del potere totemico della pietra assunta anche a religiosità panica nella tradizione folclorica e superstiziosa della civiltà contadina.
E, d’altronde, la pietra è presente in quasi tutte le realtà territoriali, dove l’uomo ha dovuto strappare terra a montagne ed a colline aride per attivare una agricoltura di sussistenza nella quotidiana fatica del vivere. E l’ingegnosità degli artigiani hanno tratto spesso proprio dalla pietra, la loro fonte di guadagno. È il caso dei “maestri scalpellini”, che al ritmo di paziente e sapiente lavoro hanno modellato “vasoli” per l’arredo di slarghi e vicoli dei centri storici, cesellato stemmi gentilizi a mostra di portali di nobili dimore, limato ruote per pressare olive ad alimentare fluidi corposi rigagnoli d’oro dell’olio o a svenare umori succosi dalle pigne d’uva, scavato vasche possenti e tondeggianti per il bucato all’aria aperta, davanti casa all’angolo del vicolo nel chiacchiericcio allegro delle massaie a complici confidenze da pettegolezzo.
Mi fanno ressa alla memoria questi ricordi del passato mentre la macchina caracolla giù per i tornanti della vecchia statale 18 verso Alfano meta del mio viaggio odierno. Mi fermo al bar per una pausa caffè, proprio a margine di strada. Nell’aria c’è profumo di campagna in una giornata di metà giugno luminosa di sole. Intorno case linde ed accoglienti con l’immancabile rettangolo di giardino, in cui fanno bella mostra le ultime ciliegie a sorriso perlaceo. Le nespole lasciate a marcire sui rami ostentano inutilmente l’oro brunito delle ferite delle beccate di passeri famelici e di calabroni ronzanti. I fichi già promettono delizie di fioroni in rapida maturazione. Di rito il pergolato a regalare ombre amiche al relax da terrazzo spazioso e pigne gonfie d’umori nella stagione giusta. C’è fasto di colori nello scialo della fioritura dei gerani a contiguità con rose e gigli con la striatura di verde dell’immancabile cespo di basilico. Tutto in allegro e profumato disordine. Ed io respiro, a pieni polmoni, l’anima antica della mia terra ad uragano emozionale del cuore.
Lungo la strada che scende a ferita di campagna verso il Golfo di Policastro ed il mare di Sapri c’è l’insediamento della parte nuova, realizzata nella seconda metà del secolo scorso con le rimesse degli emigranti, per lo più, che, sommando marchi e franchi nelle brume del Nord Europa, accumularono il gruzzolo per una dimora dignitosa nella solarità del paese d’origine. Io devio a sinistra, lungo la strada a penetrazione di vallata umbratile a scoperta di centro antico. E mi trovo nel regno degli scalpellini. Ne colgo i segni della estrosa manualità nei portali dei palazzi gentilizi. Bellissimi quelli degli Speranza e dei Novelli, a testimonianza che qui vi fu una nobiltà di censo e di casato. Ricca di memorie storiche la Chiesa di San Nicola di Mira, che condivide il culto della comunità con Santa Sofia, a dimostrazione che questa fu terra di passaggio e sosta di monaci basiliani, venuti dall’oriente a disseminare il territorio di laure e di abbazie e ad insegnare ai contadini le tecniche più redditizie per l’agricoltura con l’innesto di nuove colture e con la razionale regimentazione delle acque dei torrenti limacciosi d’inverno ed aridi d’estate. All’interno della Parrocchiale sono straordinariamente belli nella loro semplice essenzialità i due altari in pietra intagliata, a memoria dell’arte egregia di anonimi scalpellini, che hanno fatto la storia dell’arte povera dell’artigianato creativo del Cilento. Alle spalle incombe nel verde dei castagneti pedemontani e nelle faggete di altura il Monte Centaurino, un polmone di verde, appunto, che riserva sorprese di bellezza e specificità naturalistiche a chi abbia voglia di scoperte e gambe buone per il trekking a profumo di macchia mediterranea. Alfano, come altri deliziosi paesi delle zone interne del Basso Cilento potrebbero essere le zone residenziali della futura eventuale Città del Golfo, il progetto di cui mi ha parlato l’amico, Giovanni Fortunato, un politico intelligente e lungimirante, e che io condivido in pieno e che, a mio modesto parere, dovrebbero condividere quanti hanno a cuore il futuro del territorio e ne disegnano lo sviluppo con progettualità di ampio respiro. Lo consiglia e consente anche un piccolo delizioso paese come Alfano la cui visita scatena spesso emozioni, che, spesso, si fanno poesia: Alfano vanta storia di baroni/che al fasto di palazzi a pietra viva/della contrada ressero il governo./E sui portali a filo di prodigio/stemmi antichi di nobili casate/son gloria di maestri scalpellini./E nella chiesa all’oro della mitria/San Nicola rievoca la sosta/di monaci venuti dall’oriente/a costruire laure-abbazie/ad insegnare a contadini attenti/i segreti di nuova agricoltura./ Gli altari sono vanto di perizia/all’intaglio nel cuore della pietra.