di Ilaria Longo
Il cibo è un argomento che unisce, che divide, che rende complici. È il motore che muove buona parte dell’economia mondiale ed è uno dei tanti protagonisti del Bel Paese. Ma probabilmente sono in pochi a sapere che il cibo è anche un elemento intorno al quale ruotano tantissime superstizioni e che, un’ottima occasione per indagare su questi misteri alimentari, può essere la lettura dell’articolo ‘La paura è nel piatto’, scritto dall’antropologa saprese Emilia Fortunato.
Emilia, perché ha scelto di analizzare quest’aspetto insolito del cibo?
Ho scelto di dedicare la mia tesi di Laurea Magistrale alle credenze magico-religiose del Cilento, cercando di capire gli orizzonti rappresentazionali cui sono collegate. Penso che non si tratti di sopravvivenze, ma di una forma simbolica che veicola significati molto profondi. Mi sono occupata, in particolare, di superstizione, medicina popolare, malocchio, amuleti e,in occasione di Expo, ho provato ad approfondire uno degli aspetti che era emerso nella mia ricerca: il legame tra cibo e superstizione.
Tutto ciò che si legge nell’articolo riguarda solo superstizioni presenti nel Cilento o il Cilento è solo il punto di partenza grazie al quale ampliare la sua indagine sul resto d’Italia?
Sono partita dal Cilento per poi ampliare la mia indagine sul resto d’Italia. Dividermi tra Nord e Sud mi permette di condurre ricerche in due campi che, considerati distanti, trovano invece nelle tradizioni popolari un punto d’incontro. Mi è capitato di scoprire che spesso le tradizioni sono simili, ma con nomi diversi e che il mondo contadino è la principale ed inesauribile fonte d’ispirazione e origine delle credenze nella nostra penisola.
Parte delle ricerche di antropologia si svolgono sul campo. Come ha lavorato, nel Cilento, per poter realizzare il suo articolo?
Nella prima fase del lavoro mi sono dedicata alla lettura dei testi, ricerca di materiali e informatori utilizzando anche i social. Nella seconda parte, munita di taccuino, pazienza e curiosità ho illustrato gli intenti della mia ricerca e ho iniziato le interviste. Cilentani di ogni età e paese, in prevalenza anziani, mi hanno aperto le porte della loro casa e dei loro cuori. Inizialmente sono partita dalla rete familiare perché l’aspetto più difficile del mio lavoro è abbattere il muro della diffidenza iniziale verso l’antropologia, spesso poco conosciuta. Ma poi ho trovato attestazioni di stima e incoraggiamento nei miei conterranei, che ringrazio molto perché mi hanno spinta a continuare le mie ricerche.
Quale superstizione, tra quelle che ha raccolto, le è sembrata maggiormente “strana”?
Quello che più mi affascina e che può sembrare insolito, inizialmente, è lo stretto rapporto che emerge tra religione e magia. Molte delle superstizioni di cui parlo nel mio articolo affondano le loro radici nel cattolicesimo, ad esempio il divieto di stare seduti a tavola in tredici. Ritengo che la spiegazione possa essere ricercata nel bisogno di “avere fede”, di riporre una fiducia incondizionata e totale in qualcosa o qualcuno, che dia una spiegazione accettabile e coerente dell’ignoto.
Emilia, che lavora come impiegata amministrativa presso l’Università Milano-Bicocca, per spiegare il forte legame con le sue radici dice:“Amo tutto della mia terra: persone, odori, tradizioni, colori e in particolare il tramonto saprese, che riesce ad emozionarmi in maniera unica”. E, nonostante viva ormai nel capoluogo lombardo da 8 anni, ha grandi progetti riguardanti la sua Sapri. “Il mio desiderio”, spiega, “è la realizzazione di un Museo delle Tradizioni Popolari nella mia città con lo scopo di tutelare, valorizzare e promuovere il patrimonio etnoantropologico della mia terra, attraverso la documentazione, lo studio dei beni culturali, materiali e immateriali presenti sul territorio. Vorrei che il primo pensiero, quando si parla della mia terra, troppo spesso danneggiata dal pregiudizio, fosse la ricchezza naturale, culturale e artistica che la caratterizzano”.
L’articolo, pubblicato inizialmente sulla rivista ‘Equipèco’, è stato ripreso poi da varie testate online (‘Libero’, ‘In Dies’…) e ha dato alla giovane antropologa l’input per continuare le sue ricerche e approfondire questo campo di studi. “Dedicherò i prossimi mesi alla stesura di un libro relativo alle superstizioni alimentari italiane, in cui approfondirò le tematiche affrontate nell’articolo”, spiega Emilia.
In attesa del libro, se volete scoprire – ad esempio – perché è meglio non far cadere l’olio, correte a leggere l’articolo di Emilia. Con certe credenze, giuste o sbagliate che siano, è meglio non scherzare!