
Il Presidente del Parco del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, Giuseppe Coccorullo ha dichiarato che “l’Ente Parco non abbasserà la guardia di fronte all’emergenza Cinghiali. Lo dimostrano le tante azioni intraprese, le risorse economiche impegnate e gli indennizzi liquidati … Purtroppo, l’attività di ‘selecontrollo’ ha subìto un rallentamento a causa delle restrizioni impartite dal Commissario governativo per la Peste Suina Africana. Pertanto, nel giro di pochi mesi potrà riprendere l’attività di abbattimento con il raggiungimento completo dell’obiettivo di depopolamento dei cinghiali.”
Il “parco” batte un colpo su una delle problematiche che più hanno inciso ed incideranno anche in futuro su una “cattiva” percezione dell’importanza che l’area protetta hanno i cittadini che vivono nei paesi del Parco.

Infatti, in risposta alla “denuncia” del Codacons Cilento, che fa notare un abbassamento della “guardia” nell’attività di “selecontrollo” della fauna selvatica affidata a “cacciatori” (oltre cinquecento) formati e arruolati dall’ente per abbattere, recuperare e consegnare le “carcasse”, l’ente rivendica che il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni per far fronte all’emergenza, nei limiti consentiti dalla normativa vigente, ha messo in campo diverse azioni al fine di contenere la presenza del cinghiale nell’area del Parco”.
Inoltre, da palazzo Mainenti, l’ente fa sapere che “già dal 2017, in coerenza con le linee guida predisposte dall’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) e dal Ministero dell’Ambiente, ha predisposto un Piano d’azione finalizzato soprattutto a ridurre numericamente la popolazione di cinghiale per ricomporre gli equilibri naturali della specie. Ha formato e abilitato ulteriori 300 “selecontrollori” in aggiunta ai 230 già operativi dal 2018, ad oggi i capi di cinghiale abbattuti sono circa 8.605” (in sei anni ognuno dei “cacciatori” autorizzati hanno abbattuto poco più di 37 cinghiali a testa).
Se fosse vera la stima che contabilizza la presenza di 10 cinghiali per ognuno dei 36.000 ettari del territorio del parco, saremmo di fronte ad un numero enorme! Ma, anche a voler essere ottimisti, anche se fosse uno solo per ettaro, gli 8.605 abbattimenti in poco più di 5 anni sarebbe un numero inarrivabile anche dall’”esercito” di 530 “selecontrollori” a ranghi completi sarebbe inefficace.
Se poi si aggiunge il limite fisiologico dei centri di raccolta, lavorazione e “smaltimento” delle carni, allora ci si può rendere conto che dovremo fare i “conti” con il problema ancora per lungo tempo. Forse bisognerebbe immaginare altre soluzioni …
Invece, sotto l’aspetto dei rimborsi agli agricoltori per i danni subiti, il Consiglio Direttivo dell’Ente ha elargito “contributi per un importo di 600.000,00 euro”. Le risorse sono servite all’installazione di recinzioni elettrificate a protezione dei campi coltivati. Poi ci sono pensionati e cittadini che impiantano un orto o una vigna per consumo privato … Questi sono esclusi dai rimborsi!
Intanto, l’ente parco fa sapere che “l’aspetto più rilevante e articolato è stata l’organizzazione della filiera per la commercializzazione della carne di cinghiale. Nei Comuni di Felitto, Roscigno, Cuccaro Vetere e Morigerati sono stati realizzati quattro centri di raccolta dei capi abbattuti da parte dei selettori, dotati di celle frigo. Con bando pubblico, rivolto agli operatori economici del settore, è stato individuato un centro di lavorazione della carne di selvaggina in grado di ritirare i capi abbattuti, conferiti presso i centri di raccolta, dai “selecontrollori” ai quali è riconosciuto un rimborso spese.” Sarebbe opportuno anche conoscere a quanto ammonta il rimborso e se viene erogato a capo abbattuto o a giornata trascorsa a “battere” le faggete o i dirupi che scendono verso i fiumi o risalire verso le cime dei monti del parco …
In merito alla dichiarazione del Codacons, circa la liquidazione degli “indennizzi irrisori”, dal Parco fanno sapere che, ai sensi dell’art. 15, comma 3 della Legge n. 394/91, l’ente “è tenuto ad indennizzare esclusivamente i danni provocati dalla fauna selvatica al patrimonio agricolo e zootecnico. L’indennizzo viene determinato sulla base dei prezzi all’origine ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), a cui l’Ente è obbligato dalle direttive ministeriali”.
Pertanto, cittadini, sindaci, agricoltori e contadini possono stare tranquilli perché “Il Parco non abbasserà la guardia di fronte all’emergenza”. L’ente, però, ha precisato che, “purtroppo”, l’azione di “selecontrollo” ha subìto un rallentamento a causa delle restrizioni impartite dal Commissario governativo per la Peste Suina Africana che, comunque, sembra in via di soluzione nel giro di pochi mesi …”
Per cui, in attesa che finisca l’emergenza sulla “peste suina africana”, cinghiali e “selecontrollori” possono concedersi una “tregua” nel sottobosco delle faggete che, con l’arrivo della primavera sono tornate a “verdeggiare”.