Nel territorio del Salernitano i decisori locali, fatte salve poche deplorevoli eccezioni, hanno espresso da sempre particolare sensibilità per l’opzione ambientale. L’attrattiva paesaggistica, il positivo contrasto tra la fascia costiera e le aree interne collinari e montane, la forte valenza delle biodiversità hanno costituito motivo di rilancio dell’offerta turistica su basi nuove ancor più coerenti con le originarie vocazioni e ben coniugate con una ricettività compatibile e sostenibile. Il Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali (Ravello) – che quest’anno compie 40 anni di attività, costituito il 10 febbraio 1983 sotto gli Auspici del Consiglio d’Europa – da tempo ha avviato ricerche in tali ambiti, che hanno prodotto risultati scaturiti da confronti, riflessioni, elaborazioni all’interno della comunità scientifica di riferimento, ampiamente rappresentativa dello scenario internazionale. Un tema che il Centro negli anni ha ampiamente trattato e che continua a coltivare attraverso pubblicazioni, seminari e studi specifici è “il paesaggio culturale”. Più recentemente ha dedicato attenzione ai “muretti a secco”, strutture che appartengono a una metodica antica quanto il mondo (si può datare nella preistoria). Il muro a secco traduce in forme concrete il rispetto del territorio e può essere letto non soltanto come uno strumento per favorire il mantenimento delle colture tipiche tradizionali, ma di tutto ciò che riguarda la tradizione e la storia locali. L’antica pratica, che trova in Italia vasta applicazione, è tutt’oggi molto diffusa in Costiera Amalfitana e presente anche nel Cilento. Per questo stupisce la perdurante esclusione di tali comprensori della provincia di Salerno dalle “comunità esemplari” della tecnica costruttiva, malgrado a suo tempo fosse stata data ampia rassicurazione in ordine all’inserimento. La Provincia di Salerno, di cui sono stato Presidente per due mandati (1995-2004), ha incardinato sul tema dei paesaggi culturali una serie di attività a partire dalla candidatura della Costiera Amalfitana nella Lista UNESCO del Patrimonio dell’Umanità, nella categoria dei paesaggi culturali. Il riconoscimento fu ottenuto nel 1997. In epoca più recente, il Centro ha redatto, su incarico della Comunità Montana e della Soprintendenza competenti per il territorio, il Piano di Gestione del sito UNESCO Costiera Amalfitana. Nel ruolo di soggetto capofila e negli stessi anni istruimmo il dossier di candidatura per il Parco Nazionale del Cilento e del Vallo di Diano con le emergenze archeologiche di Paestum e di Velia, e con la Certosa di Padula, sempre sotto la voce dei paesaggi culturali, ottenendo l’iscrizione nel 1998. Una grande soddisfazione raggiungere tali obiettivi in due anni consecutivi nella medesima provincia, ma anche un’enorme responsabilità! Per quanto riguarda il patrimonio immateriale, il 16 novembre 2010, a Nairobi, in Kenia, il comitato esecutivo della Convenzione UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale del 2003, al termine di un lungo e complesso negoziato internazionale, ha iscritto la «dieta mediterranea» nella lista del patrimonio culturale immateriale dell’umanità. Il riconoscimento dell’UNESCO rappresenta il culmine di una lunga vicenda che ebbe origine diversi decenni addietro ad opera del fisiologo americano Ancel Keys, che condusse, a partire dagli anni Quaranta, studi tesi ad individuare legami tra l’alimentazione umana e la salute fisica degli individui, ed in particolare i riflessi dell’alimentazione sulle patologie cardiovascolari e sul tasso di colesterolo nel sangue, patologie assai diffuse negli Stati Uniti. Il superiore tasso di mortalità riscontrato presso le altre popolazioni fu attribuito ad una dieta che includeva una consistente quota di grassi saturi quali strutto, burro, carne rossa, eccetera. Ancel Keys, e altri scienziati che presero parte al «Seven Countries Study», proseguirono i loro studi a Nicotera (Vibo Valentia), Crevalcore (Emilia), Montegiorgio (Marche). A Pioppi (Pollica), nel Cilento, Keys continuò a vivere proseguendo i suoi studi, per oltre quaranta anni. Fu insignito infine, nel 2004, della Medaglia al merito alla salute pubblica dello Stato italiano. Nel 1975 la pubblicazione del libro How to eat well and stay well, the Mediterranean way! codificò i dettami della dieta mediterranea, legandola altresì ad uno stile di vita – la Mediterranean way –, che in anni recenti, dopo anni di silenzio e grazie all’iniziativa di alcuni Paesi (in primo luogo l’Italia, unitamente a Spagna, Marocco e Grecia), ha raggiunto il riconoscimento dell’iscrizione nella lista dell’UNESCO del patrimonio immateriale dell’umanità durante la sessione del comitato esecutivo a Nairobi nel novembre 2010. La dieta mediterranea è stata considerata in questa sede quale «insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni che vanno dal paesaggio alla tavola, tra cui la coltivazione, la raccolta, la pesca, la conservazione, la trasformazione, la preparazione e, in particolare, il consumo di cibo. È caratterizzata da un modello nutrizionale che è rimasto costante nel tempo e nello spazio, i cui ingredienti principali sono olio di oliva, cereali, frutta e verdura, fresche o secche, un ammontare moderato di pesce, prodotti lattiero-caseari e carne, numerosi condimenti e spezie, il tutto accompagnato da vino o infusioni, sempre nel rispetto delle convinzioni di ogni comunità». Essa rappresenta dunque non solo uno stile di alimentazione, ma una forma di promozione dell’interazione sociale, realizzata attraverso consuetudini sociali ed eventi festivi, che è riuscita a dare alla luce «un formidabile corpo di conoscenze, canzoni, proverbi, racconti e leggende». Tale riconoscimento deve rappresentare un presupposto importante per avviare iniziative a livello nazionale a sostegno della ricerca, dell’informazione, della diffusione e della promozione di uno stile alimentare basato su alcune eccellenze del made in Italy, ormai considerato strumento di tutela della salute. Inoltre, esso potrebbe avere ricadute positive non solo sulle produzioni agroalimentari del made in Italy ma anche sulle attività turistiche dell’enogastronomia e culturali. Un patrimonio importante da non disperdere, e anzi valorizzare attraverso un’opportuna opera di promozione in campo regionale, nazionale ed internazionale. L’UNESCO, infatti, iscrivendo la dieta mediterranea nella prestigiosa lista ha evidenziato il valore culturale di questa pratica alimentare che non è soltanto un insieme di prodotti, una «gastronomia» sic et simpliciter, ma – come è stato osservato in dottrina – un modello di sviluppo sostenibile unico al mondo, basato sul concepire l’alimentazione come un rito conviviale e collettivo, che si tramanda di generazione in generazione, che supera le divisione sociali, religiose, etniche, riunendo intorno ad un stesso tavolo culture e lingue diverse Non a caso le comunità emblematiche che rappresentano la dieta mediterranea sono quattro: per l’Italia la comunità del Cilento e il comune di Pollica, luogo di nascita del modello nutrizionale della dieta mediterranea ed oggi sede del Centro studi internazionali per la dieta mediterranea «Angelo Vassallo»; per la Spagna, la comunità di Soria; per la Grecia, la comunità di Koroni; per il Marocco, la comunità di Chefchauen. Proprio partendo dal prestigioso riconoscimento dell’UNESCO, durante la XVI legislatura da Senatore della Repubblica, nel maggio 2012, fui redattore e primo firmatario del disegno di legge “Disposizioni per la valorizzazione e la promozione della dieta mediterranea”. Si trattava di tutelare un “modello culturale e sociale fondato su un insieme di competenze, conoscenze, pratiche e tradizioni legate all’alimentazione e al vivere insieme a stretto contatto con l’ambiente naturale”. In effetti, è lo stile di vita “il patrimonio culturale” e cioè la convivialità, le relazioni umane, la socializzazione, oltreché la corretta alimentazione per mantenersi in buona salute e preservarsi dal rischio di patologie cardiovascolari e cerebrovascolari attraverso un regime nutrizionale sobrio e equilibrato, essenzialmente basato sui prodotti simbolo della piramide alimentare Dieta Mediterranea. In coclusione, ma pur sempre restando al tema del patrimonio intangibile, torno ai muretti a secco. Essi non solo – come ho evidenziato in precedenza – rappresentano l’identità del nostro paesaggio culturale, ma consentono agli Studiosi di leggere la storia in quanto tale tecnica costruttiva rappresenta uno degli elementi costitutivi del territorio, ed è perciò doveroso sviluppare adeguate politiche di tutela e di valorizzazione. Da qualche anno il Centro di Ravello affianca l’Università di Napoli Federico II che attraverso il CITTAM (Centro Interdipartimentale di ricerca per lo studio delle Tecniche Tradizionali dell’Area Mediterranea), diretto dalla Professoressa Marina Fumo, cura ogni anno un convegno nazionale la cui prima edizione si è svolta in Penisola Sorrentina e le due successive a Ravello, dove è già programmata la quarta il 7 ottobre 2023. Tanti di noi si sono impegnati, non solo individualmente ma anche istituzionalmente, imprimendo alle proprie azioni il valore aggiunto che scaturisce dalla passione, dall’entusiasmo e dalla sensibilità personale. Un siffatto approccio è valore aggiunto e esso stesso “patrimonio immateriale” a sostegno delle azioni materiali. Il bagaglio di acquisizioni e di competenze accumulato in questi anni, è oggi a disposizione di una sorta di ‘rete’ che il Centro di Ravello concorre a costruire in spirito di servizio e nel rispetto dei “valori dell’ambiente diffuso”: due elementi fondanti della sua mission! Alfonso Andria Presidente Centro Universitario Europeo per i Beni Culturali – Ravello Consigliere di Amministrazione Parco Archeologico di Paestum e Velia
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