Correva l’anno 1819, era il 6 maggio, un giovedì speciale oppure semplicemente un giorno curioso per i pochi astanti ai lati della sterrata via, che conduceva ai Templi di Paestum. Un suono di galoppo e stridio di ruote si udivano dapprima in lontananza e man mano sempre più vicino. La Guardia Imperiale austera su cavalli bardati a festa scortava una lussuosa carrozza; un quadro imponente quasi ad esigere attenzione anche da chi non riusciva a comprendere cosa o chi stesse giungendo nell’antica città della magna graecia. Quel giorno di duecento anni fa Paestum si offrì agli occhi dell’Imperatore d’Austria Francesco I.
A formare il corteo imperiale vi era anche l’Imperatrice, la figlia Carolina e il genero dell’imperatore Leopoldo, Principe di Salerno. Quest’ultimo pare molto interessato agli oggetti d’arte e quadri di valore. Vi si accampagnorono a questi anche il Principe Antonio di Sassonia con la moglie Maria Teresa d’Austria, sorella dell’Imperatore. A fare da cornice una schiera di altri nobili personaggi e accompagnatori di Corte. A riceverli a Paestum ci pensò, su incarico dell’intendente della provincia Ferrante Cavalieri, il canonico Giuseppe Bamonte di Capaccio, socio corrispondente della Reale Società Agraria di Salerno. Ed è proprio il Bamonte che nello stesso anno racconterà l’evento nel libro “Le antichità pestane”, stampato in Napoli nel 1819 e che dedicò ai Princìpi ereditari del Regno delle Due Sicilie, anche questi in visita a Paestum il 16 marzo dello stesso anno. Un’operetta, come lui stessa la chiama, che divide in due parti, una dedicata alla storia di Paestum, l’altra alla topografia dell’antica città e con alcune, breve descrizioni anche su Capaccio Vecchio.
Giunti dunque nei pressi dei Templi il corteo imperiale fu invitato per un ristoro presso il villino dei Fratelli Bellelli, dove lo stesso Barone Bellelli e il Vescovo Filippo Speranza diedero compagnia all’Imperatore e al suo seguito. Terminata la pausa tutti si avviarono verso il Tempio Maggiore (Nettuno) dove Francesco I volle scrupolosamente guardare tutte le parti con profonda attenzione, poi si recarono alla Basilica dove l’ospite d’onore non smise di distogliere il suo sguardo da ogni particolare che scorgeva. Apprezzò porta Sirena, l’Anfiteatro e infine il Tempio Minore. L’Imperatore nel lasciarsi andare ai suoi “eruditi discorsi” – così li chiama il Bamonte – narra di avere una quantità di antichi monumenti nei suoi domini specialmente in Dalmazia e in Istria, anche meglio conservati dai Paestani. Chissà se si riferiva ad opere locali oppure a quelle che da Paestum spesso prendevano il largo verso le residenze di Re, Imperatori e Princìpi dell’epoca.
Terminata la visita imperiale un componente, forse ufficiale di scorta, su oridine dell’imperatore lasciò diverse elargizioni da consegnare ai poveri (compito al quale Giuseppe Bamonte portò a termine, come racconta nel suo libro). Pare anche che l’Imperatore fosse interessato alle antiche monete di Paestum e come si evince dal racconto del Bamonte, questi scambiò dodici zecchini imperiali austriaci con trenta monete antiche di rame che il giovane Giuseppe Carducci aveva mostrato all’ospite. Terminata la visita e incassato qualche moneta antica e alcune altre antichità, tra reverenze e bacia mano di coloro che erano accorsi a salutare l’Imperatore, il corteo imperiale si concedò da Paestum e dal canonico Bamonte.