La cosa più penosa di una guerra è vedere migliaia e migliaia di uomini, donne e bambini in fuga, dopo aver raccattato alla meglio, pochi indumenti di prima necessità, custoditi in qualche borsone stracolmo o in qualche zaino, trasportato a fatica, sulle stanche spalle.
Sono scene di una tristezza infinita, che mostrano plasticamente il dramma di persone che non sanno più niente del loro domani.
Sono migranti in fuga dalle bombe, ma sono anche in fuga da un destino che si è accanito con loro, in modo disumano e carognesco.
Sono bambini smarriti, impauriti e colpiti da un trauma nel preciso momento in cui hanno dovuto lasciare nelle loro caso i sogni ingenui di un’età che non ritorna mai più nella loro vita.
Sono persone anziane, già provate da mille sacrifici, durante una vita di lavoro e che ora si vedono costretti alla fuga, senza sapere dove potranno fare riposare le loro fragili ossa.
Sono insomma una massa di persone che scappano non solo dalla guerra, ma scappano anche da una vita vissuta fino ad allora, per trovarne forse un’altra, però tutta da scoprire.
La fuga, le bombe, i missili, le case distrutte, sono incubi che accompagneranno questa gente per il resto della loro vita terrena ed anche nell’altro mondo, perché signori: questa è la guerra, con le sue crudeltà e la sua tragedia.
Difronte a questo nuovo grande scempio dell’umanità, scrivo questo mio meditato pensiero, seduto comodo davanti la mia scrivania e mi sento una persona fortunata, perché ho vissuto una vita senza la guerra.
Mi vergogno, però, anche un poco di questa mia fortuna, perché mi sento un privilegiato, rispetto a chi è costretto a fuggire dalla propria casa, dalla propria terra, dal proprio lavoro a causa della criminale pazzia di una belva feroce, col le sembianze umane, senza un’anima e senza un cuore, di nome Putin.
Maledetta guerra, maledetto Putin.