La ripresa economica del dopoguerra, viene spesso ricordata con nostalgia, nonostante il benestare dei progressi fossero stati alla portata di pochi. Il dislivello socioeconomico, condizione mai superata, proponeva una realtà diversa da quella attuale, nella quale si riusciva comunque ad apprezzare la straordinaria condizione della semplicità. Si ritiene doveroso, trasferire ai posteri, il ricordo di quei borghi rurali e distanti dai ritmi delle urbanizzazioni, malgrado interessati dal fenomeno dell’emigrazione. Un rigo parallelo della storia d’Italia, proiettato su teche bianche e nere, dalla memoria satura di colori. Un fermento, un sentire popolare diverso, pur sempre di rinascita. In questo contesto, da un mestiere antico come quello del falegname, Domenico Campitiello da Stio, sviluppa la passione per l’ebanisteria e la liuteria.
Si interessò di chitarre molto giovane, come iniziò a costruirle?
Rimasi attratto dalle sonorità delle chitarre grazie all’ascolto della radio, a quel tempo, non avevamo il televisore. Non conoscevo l’esistenza di un negozio di musica e non avevo opportunità diverse per ottenere una chitarra, se non quella di costruirmela. Lavoravo già con il legno in una bottega locale e per questo sfruttai l’occasione. I primi esperimenti consistevano nel creare e distruggere miriadi di volte il lavoro. Non era semplice, tutto veniva prodotto artigianalmente. Dalle meccaniche, rabberciate con dei chiodi, le corde con dei lacci di bicicletta e i tasti ricavati dai fili di rame usati per la corrente elettrica, appiattiti e fissati sulla tastiera. Insomma, la creatività per colmare la necessità di ottenere quello che non potevo permettermi. Sulla conoscenza dei legni, preziosi furono i consigli del mio maestro, il falegname del paese.
Oggi lei è un liutaio e un cantore. Imparò a suonare la chitarra contemporaneamente alle sue costruzioni?
Si, con mio fratello Luigi, ascoltavamo alla radio della musica ricongiungibile a colonne sonore di film western, del country. Ad orecchio, e influenzati da queste musiche, formulammo un’accordatura per semplificarci l’esecuzione e ottenere facilmente gli accordi. Da autodidatti.
È celebre per la ricerca e la riproposizione dell’antica chitarra battente del Cilento. Come è arrivato questo ulteriore interesse che le ha dato modo di distinguersi come preservatore e prosecutore di una tradizione così importante?
Conoscevo i canti tradizionali per via del cantore del paese “Zi Peppo re Cavalieri” che spesso, si accompagnava con uno strumento che osava chiamare “’a chitarra francese”. Nel 1988 avviai un percorso di ricerca grazie all’interesse del PNCVDA che, propose di rivalorizzare le radici culturali del territorio anche dal punto di vista musicologico. Inoltre, il musicista Giancarlo Siano, mi portò uno strumento d’epoca da restaurare, una chitarra battente dei F.lli De Luccia di Casigliano. Ad oggi, posso ritenermi orgoglioso, dopo circa un secolo, sono riuscito a riprendere il lavoro dell’antica liuteria cilentana. Tuttavia, ho elaborato anche nuove forme dello strumento da proiettare su altri orizzonti e angolazioni timbriche.
Che futuro avrà la sua arte dinanzi alla crisi attuale dello spopolamento in Cilento?
Non c’è risposta più evidente della realtà silente. Me lo chiedo anche io. A cosa sono serviti 35 anni del mio impegno? Si stanno facendo sicuramente delle scelte sbagliate. Se le istituzioni collaborassero offrendo elementi di sostegno concreti, quei pochi mestieri rimasti potrebbero ricreare qualcosa di interessante, altrimenti rischierebbero di sparire del tutto e con essi, le opportunità economiche legate al turismo.
La musica che propone in duo con suo fratello, si colloca a metà strada tra cantautorato e la musica popolare. È l’autore delle musiche e dei testi. Da cosa è ispirato?
Ascoltando i canti della tradizione, ho assorbito nel tempo il linguaggio tematico del contesto in cui si eseguivano. Successivamente, grazie alle poesie di Giuseppe Liuccio e insieme all’opera di Aniello De Vita, ho sentito l’esigenza di scrivere qualcosa anche io. Ho trovato interessante riportare le vecchie storie del mio paese, i disagi della gente, le migrazioni, gli amori, gli sdegni. Spesso i miei componimenti sono il frutto di un racconto che ho avuto modo di ascoltare direttamente dai protagonisti, gli anziani.
Canta la memoria?
Esattamente, ho trascritto le loro frasi, molte delle quali riportate nel libro “Viento ca sona”, pubblicato nel 2016 che è anche il titolo di una mia canzone. In più, un CD di canzoni, “Li cunti cantanno”. Entrambi richiedibili dal sito www.bottegacampitiello.it o di persona, visitando il mio laboratorio a Stio Cilento.
Intervista a cura di Angelo D’Ambrosio