di Monica Acito Oggi vi siete ricordati di dire grazie? Scommetto di no. Persi tra il trambusto delle nostre frenetiche vite, crocifissi ad uno spartitraffico o riversati in un “gomitolo di strade”, come scriveva Ungaretti, ci ricordiamo troppo poco spesso di ringraziare le persone che, pur soffrendo, ci regalano un frammento di benessere, coloro che si prodigano per farci stare bene o chi contribuisce a rendere meno amara la pillola della vita. A volte dimentichiamo persino di ringraziare il nostro stesso corpo, i nostri organi funzionanti, le nostre viscere, il nostro linguaggio, la nostra bocca che impasta parole o i nostri occhi che sono finestre cangianti e mutevoli sul mondo. La gratitudine, o meglio l’arte della gratitudine: è questo il leitmotiv del libro di Anna Katia di Sessa, autrice di Paestum che dispiega a piene ali il filo rosso del “Grazie”. Martedì 22 novembre Anna Katia si è recata a Felitto, dove, nella cornice del bar in piazza, si è seduta a tavolino con un gruppo di persone curiose per illustrare loro l’arte ormai dimenticata della gratitudine. Ha fornito a tutti una mappa bianca, da compilare ogni giorno ricercando un motivo per ringraziare qualcuno o qualcosa. Ogni giorno può essere un nuovo giardino pieno di ringraziamenti, verso chi ci accarezza l’anima, o verso la nostra stessa forza interiore ,ogni nuovo giorno può essere linfa da attingere per rimpolpare quell’autostima che mutiliamo e stupriamo, pensando di non essere abbastanza o di non essere all’altezza della felicità. “La felicità è reale solo se condivisa”, recita il film “Into the Wild”, per bocca di Alexander Supertramp, ma è vero che la felicità è uno stato d’animo, un vestito che si sceglie di indossare ogni giorno facendo in modo che aderisca alle nostre curve e alla forma del nostro corpo e della nostra anima, non una meta tortuosa e irraggiungibile. La felicità non è una chimera, ma un abito fatto di sole da cucire ogni giorno annodando i fili della gratitudine. E il primo ringraziamento, va a noi stessi. Perché non capiti più che la felicità ci sfugga dalle mani perché abbiamo deciso di essere i primi a boicottarci.
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