di Bartolo Scandizzo I paesi dell’anima, la nostra, raccontati magistralmente da Peppino Liuccio, hanno perso molto del loro senso della vita. Lo spopolamento li ha ridotti a rottami di case che, abbandonate dai legittimi eredi, sono cadenti come la stragrande maggioranza della popolazione residente: ultra novantenni che abitano i luoghi della loro giovinezza senza vedere il ricambio della gioventù che avanza … Quindi, il problema demografico è diventato il “problema dei problemi” per le aree interne del territorio del Parco Nazionale del Cilento Diano e Alburni. Tutto in linea, per la verità, con il “vecchio continente” Europa! Se non lo si affronta con decisione i territori che si trovano nella perimetro dell’area parco (gli altri non stanno meglio) rischiamo di diventare una riserva “indiana” oltre che una riserva naturale. Un’area che è sempre di più un contenitore vuoto di cui si sta raschiando il fondo da cui giungono voci che denunciano il fenomeno ma non propongono soluzioni. A meno che non si considera una soluzione la proposta degli autodefinitisi “Briganti del Parco” che consiste nella secessione dall’area protetta, nell’eliminazione dei vincoli ambientali che ci inducono a costruire con oculatezza e l’apertura indiscriminata della caccia alla fauna selvatica. Abbiamo, d’altro canto, una marea di migranti che si affolla sulle coste meridionali dell’Italia e che non chiedono altro che spazio per vivere la loro esistenza come uomini e donne senza soffrire la fame, la sete e la guerra. Si tratta di persone giovani, in molti casi, di famiglie con bambini che potrebbero colmare quei “vani” vuoti ripudiati dai tanti che sono partiti e subiti dai pochi che sono rimasti. Le risorse per integrare e formare ci sono e, molto spesso, sono appannaggio di soggetti senza scrupoli (vedi “Mafia capitale) che le utilizzano prima per mantenere il piedi l’apparato organizzativo e poi per attività di formazione e inserimento sociale. Ce ne sono altri, invece, che non trovano riscontro proprio nelle zone che potrebbero avvantaggiarsi da un ripopolamento controllato e funzionale alla necessità di innestare famiglie giovani in un tessuto umano destinato ad esaurirsi. Centinaia di abitazioni vuote potrebbero rinascere a nuova vita con l’innesto di nuclei familiari altrimenti destinati a sopravvivere in strutture provvisorie che non consentono di immaginare un progetto di vita. Inoltre, le risorse che lo stato e l’Unione Europea che, comunque, rendono disponibili per il sostentamento dei migranti, non sarebbero più una spesa sociale improduttiva in termini economici, ma un investimento strutturale per la rinascita di un territorio altrimenti destinato all’abbandono. Proviamo a immaginare un futuro per i nostri borghi che, riaperti alla vita di chi vuole “vivere” con speranza nel futuro: Le scuole si ripopolerebbero, le case rivivrebbero, le piazze tornerebbero ad essere vocianti, qualche negozio riaprirebbe e anche la vita sociale sarebbe alimentata dai “problemi” della quotidianità … e dalla convivenza in una comunità. Considerare, poi, l’operazione sotto l’aspetto economico lasciando da parte le questioni sociali, potrebbe essere una vera manna per le casse dei nostri comuni piccoli e medi che hanno l’onere di assicurare servizi come l’acquedotto, le fognature, la vigilanza per la sicurezza, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, i dipendenti comunali … Infatti, con l’aumento della popolazione, si potrebbe ridurre il costo pro-capite dei vari servizi e rendere disponibile le risorse per migliorarli ed estenderli. Dopo tutto, già le badanti, gli operai, i muratori, i potatori, i braccianti nelle terre e gli stallieri negli allevamenti sono una risorsa umana di cui non potremmo fare a meno anche se volessimo. I loro figli e figlie sono integrati nel nostro ambiente con sacrificio loro e tra le contraddizioni delle comunità che li hanno presi in carico per “necessità”. Non mi nascondo le problematiche connesse all’operazione, sia sotto l’aspetto psicologico sia relativamente a quello sociale, ma sono certo che tutti noi, messi di fronte all’alternativa di una decadenza certa o una speranza in un futuro migliore con qualche sacrificio che sarebbe ben ripagato, sapremo far valere la forza della ragione sulla pochezza del fatto restare ad aspettare che tutto finisca un po’ prima o un po’ dopo di noi …
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