L’acronimo NIMBY, in inglese “Not In My Back Yard”, cioè “Non nel mio cortile”, indica l’avversione di una comunità contro la realizzazione di opere con elevato impatto ambientale , quali le centrali nucleari, i termovalorizzatori, le discariche. In questi territori, la popolazione avverte come ostile ai propri interessi quotidiani certi insediamenti, ma gli stessi non si opporrebbero alla realizzazione di queste opere, realizzate in altri luoghi, più lontani dai loro occhi.
Questo atteggiamento ha finito per essere caratterizzante delle società economicamente evolute, rompendo quella sorta di patto di solidarietà tra le diverse aree di una Nazione.
Una sorta di involuzione degenerativa ed egoistica di quello che un tempo si chiamava progresso.
L’Italia non è stata da meno rispetto ai Paesi Anglosassoni dove questi processi sono stati oggetto di studio già all’inizio degli anni ’80.
Probabilmente la nostra estrosità, la ricerca del bello, la forte vocazione artistica in tutte le sue manifestazioni, dalla letteratura alla pittura, dalla musica all’architettura ed alla scultura, hanno avuto come riflesso un atteggiamento che tende fortemente “all’estetica dell’ apparire rispetto alla concretezza dell’essere”.
Quasi una ossessiva ricerca della perfezione esteriore, anche se poi vengono trascurati gli aspetti caratteristici di una civiltà evoluta, storicamente carente nel senso civico, nel rispetto delle regole e delle istituzioni.
Un atteggiamento foriero di comportamenti che arrivano fino all’ipocrisia di negare la realtà dei fatti, proprio per evitare di avere la piena consapevolezza di certi problemi.
Si osserva pertanto che, cambiano i governi ed i contesti politici, ma si presentano emergenze diverse, con delle risposte che tendono sempre ad eludere i problemi.
Sull’onda emotiva del disastro atomico di Chernobyl, si tenne in Italia un referendum che mise al bando le centrali nucleari, continuando negli anni successivi ad acquistare energia elettrica prodotta dalla vicina Francia con i reattori nucleari.
Qualche anno dopo, in seguito all’emergenza rifiuti, l’Italia preferì impacchettare le famose “ecoballe”, già profetiche nel nome che richiamava una sorta di “bugia ecologica”, per inviarle all’estero in Paesi, ben remunerati, i quali facevano ciò che andava fatto diligentemente in Italia: trattare, riciclare, smaltire i rifiuti in casa propria, come fanno tutte le Nazioni avanzate.
Oggi, invece, il Governo in carica si vanta di un accordo per “stoccare” gli emigranti, a proprie spese in Albania, Paese per giunta più piccolo dell’Italia, tra le altre cose, nemmeno baricentrico rispetto ai flussi migratori provenienti dal nord Africa.
Una sorta di piattaforma allo scopo di “triangolare” uomini, donne e bambini, quasi fossero merce degradata.
Qual è la ratio di questa scelta, se non di nascondere, ieri come oggi, “l’immondizia sotto al tappeto”?
Un modo menzognero di non far vedere l’immigrazione, come ieri l’emergenza rifiuti, spostando solo il problema senza risolverlo.
Non c’è sinistra o destra che tengano, siamo noi a sentirci più tranquilli così: lontano da casa nostra si può fare di tutto.
Rifiuti solidi o umani, anche a caro prezzo, ma lontano dai nostri occhi.
Per non urtare la nostra ipocrita sensibilità.