Otto milioni e mezzo di figli. A ogni inizio di settembre gli italiani affidano alla scuola. Spendono seicento miliardi per comprare i libri di testo. Poi aspettano. Aspettano molte cose: educazione ed istruzione, due parole non più unite, una serie di promozioni, un diploma e infine un posto e una carriera. Fino a qualche anno fa molto alto era il tasso di analfabetismo degli italiani. Così a tavolino si stabilisce che è obbligatorio fare proseguire fino a 16 anni l’obbligo scolastico. Non sfugge l’importanza civile e culturale di alzare i livelli di scolarizzazione, così come non sfugge il merito che ha avuto la scuola dell’obbligo nell’aumentare i lettori dei giornali e dei libri e quindi nel maturare anche politicamente i giovani. A 15-16 anni un ragazzo è già un uomo/donna, ha una vita di relazione, ha un’indipendenza acquistata date le grandi modifiche del costume. Com’è possibile chiudere questo ragazzo a chiave in un’aula senza prima avere migliorato quest’aula? Il prolungamento della scuola dell’obbligo si giustifica con il desiderio di preparare meglio i giovani alla vita. Sarebbe necessario preparare meglio anche la scuola a preparare meglio i giovani. C’è un punto infine che lascia perplessi: ed è la cornice dei diritti dentro la quale un uomo/donna quasi adulto, 16-18 anni, dovrebbe vivere un lavoro ordinato per legge e non pagato quale sarà la prolungata scuola dell’obbligo. I giovani che studiano non hanno uno Statuto parallelo a quello dei lavoratori. Cosa accadrebbe nella scuola, anche nella più permissiva, se si applicasse uno Statuto come quello dei lavoratori a favore dei ragazzi? Gli esami, le bocciature, i voti in condotta non sarebbero consentiti nel modo in cui oggi esistono. Il potere del docente di definire, coordinare, precisare una valutazione dovrebbe poggiare su regole di rispetto e di prestigio. Insomma sulla capacità di trasmettere il sapere. Perché questo canale del sapere non sia ingombro da disattenzioni e piccole arroganze, talvolta è necessario che qualcuno parli e qualcuno ascolti davvero. L’autoritarismo di chi è in cattedra e la prepotenza sporadica di chi è tra i banchi non possono nascondere un fatto costante: la sottovalutazione dei diritti dei giovani. Quando si fermano gli scrutini alla fine dell’anno scolastico, milioni di persone che hanno faticato non vengono pagate: l’unica paga ai giovani per lo studio dei due quadrimestri è infatti un giudizio completo, sereno e mediato, sottoscritto da tutti gli insegnanti. La scuola pretende che i ragazzi studino, pretende l’esecuzione dei temi dati in classe, l’esecuzione dei compiti dati a casa. La scuola pretende di potere interrogare, di dare voti, di criticare, di sollecitare, di punire. La scuola scheda, sentenzia, definisce, parla, riferisce ai genitori. E allora come può sottrarsi alla pretesa minima, da parte dei giovani, di vedersi restituito integrale un giudizio? Questo è lo stato d’animo che tutti i giovani vivono durante il corso dei loro studi. Negli ultimi anni ci sono state delle riforme scolastiche con i loro pro e i loro contro. Per ciò che riguarda le riforme degli esami di stato, nell’anno scolastico 99/00 e 00/01 era in vigore la riforma Berlinguer: la commissione d’esame è nominata dal Ministro della Pubblica Istruzione ed è composta da non più di 8 membri, dei quali il 50 per cento interni e il restante 50 per cento esterni dell’istituto, più il presidente esterno. Ai fini della valutazione la commissione dispone di 45 punti per le prove scritte e di 35 per il colloquio, ciascun candidato può far valere un credito scolastico massimo di 20 punti, attribuitigli dalla scuola e relativo all’ultimo triennio. Il punteggio massimo conseguibile è di 100 punti, quello minimo per superare l’esame di Stato è di 60. Ma da quest’anno andrà in vigore ancora una nuova riforma, la riforma Moratti. Letizia Moratti dice: ‘…Siamo all’inizio di una fase che pone in primo piano la necessità di accrescere e valorizzare il capitale umano del paese. Obiettivo che sarà tuttavia possibile proseguire soltanto se sapremo ridare all’istruzione un grado di qualità e di innovazione che ci porti agli standard europei dai quali ci siamo allontanati. Il nostro impegno ha al centro le aspirazioni degli studenti, delle loro famiglie, degli insegnanti. Sono loro, i veri protagonisti della scuola, che ispirano la nostra azione legata a due principi fondamentali: solidarietà ed eccellenza.’. La riforma Moratti prevede per l’esame di stato qualche cambiamento: la commissione sarà composto solo da professori interni all’istituto più un presidente esterno. Per ciò che riguarda la valutazione rimarrà uguale. A questo punto l’opinione degli studenti si divide in due parti. Alcuni candidati sono convinti che con la commissione interna avranno un punto in più a loro favore. Pensano che essendo composto da professori che li hanno seguiti durante il loro percorso scolastico possano conoscerli meglio e anche se, sicuramente, capiterà che qualcuno si farà prendere dall’emozione, loro sanno se quel ragazzo vale veramente, o meno. Altri invece pensano che essendoci professori interni ci saranno molte più ingiustizie che, invece, con professori esterni all’istituto non dovrebbero accadere o almeno dovrebbero essere meno evidenti. Le vittime degli esami pensano questo. Ma loro possono solo pensare, il Ministero ha deciso per la riforma Moratti e i maturandi quest’anno faranno da cavie per la nuova riforma… poi vedremo il prossimo anno se ce ne sarà un’altra o meno!
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