Quando a gennaio i media cominciarono a parlare del “coronavirus”, o “Covid-19”, ci sembrava una cosa così lontana da noi… ascoltavamo con attenzione le dichiarazioni dei massimi virologi italiani che ci dicevano di stare tranquilli, che in fondo si trattava di una brutta influenza molto contagiosa e pericolosa solo per i soggetti più a rischio (vale a dire anziani e persone con patologie pregresse).
Ripeto, a gennaio il problema era in Cina… lontano da noi…
Il 21 febbraio, però, qualcosa cominciò a cambiare: venne riscontrato il primo caso di coronavirus in Italia, il paziente 1, e da lì iniziò un’affannosa corsa a capire come avesse contratto il virus cinese, quante persone avesse contagiato e, soprattutto, come fosse possibile che un giovane uomo di 38 anni, sportivo, avesse riscontrato il virus in una maniera tanto violenta da vederlo costretto in un letto d’ospedale, in rianimazione e intubato.
Ma allora non era solo una brutta influenza, pericolosa unicamente per gli anziani?
Iniziò la paura.
Ma ancora poca… “Ma lo sai quante persone ogni anno muoiono per l’influenza? Altro che coronavirus… è solo un fenomeno mediatico, in realtà muoiono solo i vecchi”.
Tristissima affermazione, sì. In tanti l’hanno pensata così per molto tempo. Almeno fin quando il virus non si è esteso maggiormente e ha cominciato a “toccare” da vicino un po’ tutti.
Da quel 21 febbraio si è assistito ad una escalation della diffusione dell’infezione e, parallelamente, si sono susseguite le misure adottate dal Governo per frenarne la corsa. Prima del 21 febbraio, il coronavirus in Italia riguardava una coppia di cinesi in vacanza e i connazionali di ritorno dalla Cina messi in quarantena. A distanza di un mese, l’Italia ha superato la Cina in termini di morti per il Covid-19.
Spaventoso!
Ma facciamo un piccolo passo indietro.
Erano le 21.30 del 9 marzo scorso quando, con un provvedimento d’urgenza che non ha precedenti nella storia della Repubblica Italiana, il Premier Conte ha dichiarato “zona rossa” tutto il territorio italiano. Questa misura estrema è stata adottata per cercare di arginare il più possibile il contagio del coronavirus a seguito dell’esodo che c’è stato nella notte tra il 7 e l’8 marzo con un vero e proprio assalto ai treni diretti al Sud a seguito della decisione da parte del Governo di emanare un decreto che vietasse ogni spostamento in Lombardia e in quattordici province di Veneto, Emilia Romagna, Piemonte, Marche (quelle che, allora, erano le regioni italiane colpite dal virus).
E così, tra lo sconcerto e la preoccupazione, il 10 marzo scorso, con lo slogan “io resto a casa”, l’Italia ha iniziato a vivere “in quarantena”. Dalle grandi metropoli ai piccoli borghi… tutti chiusi in casa.
Questa misura estrema sta avendo (e continuerà ad avere per molto tempo) grosse conseguenze non solo sull’economia del Paese ma anche sulla vita sociale dei cittadini italiani.
Per prendere questa ed altre importanti decisioni, i politici al Governo si sono affidati agli esperti, scienziati e medici infettivologi, le cui dichiarazioni sono ascoltate e attese quotidianamente da tutti con trepidante interesse e una discreta dose di preoccupazione.
La paura e il senso di anormalità hanno invaso la maggioranza della popolazione, pochi riescono a vivere la vita di sempre senza farsi “contagiare” da quella sensazione di insicurezza che non si può non provare se si sta sempre connessi a leggere i dati, i numeri dei nuovi contagi, delle vittime, dei pochi guariti, o a fare la conta dei contagiati regione per regione, provincia per provincia, paese per paese…
Anche a Vallo della Lucania la vita è stata stravolta completamente. Quello che da sempre è uno dei più importanti centri cilentani per la presenza di servizi, scuole, uffici, negozi, quotidianamente affollato da migliaia di persone, oggi vive e subisce inerme le conseguenze del contagio da Coronavirus. Anche Vallo è una città-fantasma.
Qui i primi effetti del Covid-19 si sono visti la sera di mercoledì 26 febbraio quando cominciò a diffondersi la notizia dell’esito positivo di un tampone effettuato su una paziente ricoverata presso l’ospedale San Luca. La paziente in questione era una ragazza di 26 anni, di nazionalità ucraina, rientrata da Cremona (dove lavora come biologa) ad Abatemarco, frazione di Montano Antilia, presso la sua famiglia. La ragazza, con estrema scrupolosità, si era presentata al pronto soccorso del nosocomio vallese con guanti e mascherina.
Una volta appurato che nessuna persona era stata contagiata dalla giovane biologa, la vita vallese aveva ripreso a scorrere quasi “normalmente”.
Quando sabato 7 marzo la polizia locale fece il giro di bar, pub, ristoranti e esercizi commerciali vallesi, con un’ordinanza del presidente della Regione Campania alla mano, che vietava qualsiasi forma di assembramento, si cominciò a capire che qualcosa stava cambiando anche nella nostra piccola città. Quel sabato sera i locali erano pressoché vuoti, la città quasi deserta. Tutti cominciavano ad avere paura di tutti.
Il decreto del 10 marzo, poi, ha modificato definitivamente il modo di vivere dei vallesi. A cominciare dai commercianti. Sebbene non fosse stata disposta ancora la chiusura degli esercizi commerciali, molti commercianti, guidati da una buona dose di buon senso e da un po’ di paura, decisero di chiudere autonomamente i propri negozi. Nei pochi esercizi rimasti aperti si rispettavano (e si rispettano ancora oggi) con estremo rigore le regole relative al mantenimento della distanza di sicurezza e alla necessità di indossare guanti e mascherine.
I vallesi hanno risposto alla “quarantena” in maniera esemplare (tranne qualche raro caso… ma le “pecore nere” sono presenti un po’ dappertutto).
Ad oggi due soli casi di coronavirus sono stati accertati tra la popolazione; si tratta di un trentenne rientrato il 14 marzo dalla provincia di Torino e di una giovane mamma contagiata dalla pediatra del figlioletto (la pediatra risultata positiva è residente a Napoli e presta servizio presso i comuni di Pollica, Ascea e Casal Velino). Per entrambi i casi non ci sarebbe da preoccuparsi, per fortuna: il primo è già tornato a casa e sta bene, la seconda non presenta grossi sintomi ed è in via di guarigione, come ha tenuto a precisare il primo cittadino di Vallo, Antonio Aloia.
Attualmente la situazione all’Ospedale San Luca di Vallo della Lucania è la seguente:
- 1 paziente è in rianimazione (il paziente è di Agropoli)
- 7 pazienti sono in isolamento
- 1 paziente è in fase di valutazione in tendostruttura
Dei 7 pazienti ricoverati nel reparto Covid:
- 2 sono in attesa di tampone
- 5 sono positivi (2 di Napoli, 1 di Vallo della Lucania, 1 di Sessa Cilento e 1 di Serramezzana)
I 7 pazienti sono tutti stabili e non hanno bisogno di ventilazione.
In tutta questa brutta storia, però, possiamo trovare anche un po’ di positività. La quarantena forzata e la paura del coronavirus, infatti, hanno portato alla luce il buon cuore dei vallesi e di tutti i cilentani. In poco tempo diverse attività di ristorazione si sono attivate per sostenere medici e infermieri del nostro ospedale, come il Draft che ha donato dei gustosi panini agli operatori sanitari del pronto soccorso del San Luca. Intanto è stata attivata anche una raccolta fondi da parte del Comune di Vallo della Lucania e della Banca del Cilento per acquistare strumentazioni e materiali extra per far fronte all’emergenza del Covid-19. In molti hanno risposto all’appello donando anche cifre importanti, per il momento si è raggiunti una somma di circa 70mila euro. La solidarietà che i cilentani stanno dimostrando è commovente!
In un momento così delicato e fragile è fondamentale essere uniti in contrasto all’emergenza sanitaria che sta colpendo tutti. Per questo anche noi invitiamo, chi vuole e chi può, a contribuire facendo una donazione all’IBAN IT05 B081 5476 5300 0000 0523 937 con la causale “emergenza Covid19”.
Veronica Gatta