Chi ha avuto la fortuna di assistere alla preparazione del pane, ricorda con nostalgia quei momenti. Nell’antico Cilento si era soliti riunirsi e impastarlo tutti insieme. Un vero e proprio rito che prendeva inizio dalle prime luci del mattino. Le donne, nella madia di legno, preparavano l’impasto con lievito madre, semola di grano duro e farina di grano tenero. In attesa della lievitazione, si ci accingeva all’accensione del forno. Prima di cuocere i panetti, si era soliti assicurarsi della giusta temperatura infornando l’Ammaccata. Un’antica pizza, che aveva lo stesso impasto del pane. Una volta sfornata la si guarniva con pomodoro, origano e cacioricotta di capra. Oppure con aglio, olio, origano e alici. E ancora con erbe spontanee, olive, alici e formaggio. Il primo assaggio spettava ai ‘guardiani’ dell’opera, tra cui i bambini. Tra questi c’era proprio Cristian Santomauro, che osservava con stupore e ammirazione la maestria di nonna Teresina. Al punto da volerne imitare i suoi gesti. Gesti che oggi ripete continuamente, perché non solo ha portato alla ribalta l’Ammaccata, ha anche contribuito al suo riconoscimento P.A.T.
Nel 2020 l’Elenco della Regione Campania conta 552 Prodotti Agroalimentari Tradizionali e tra questi vi è anche la Pizza Cilentana. Nel PAT rientrano prodotti tipici italiani, che rappresentano piccole realtà, ancora da scoprire. Ereditano dal luogo e dalla cultura dove nascono caratteristiche uniche. Rappresentano l’Italia dei piccoli borghi e raccontano il passato di un luogo o di chi li ripropone. Rispecchiano anche nuove esigenze e tendenze da parte sia dei consumatori. I PAT – rispetto ai DOP e IGP – costituiscono un prodotto di nicchia, ma uniti a questi contribuiscono allo sviluppo del territorio.
Il rito che oggi ripropone Cristian avveniva a Piano Vetrale (Orria), paese in cui è cresciuto. Per poi iscriversi ad Ingegneria Civile per l’Ambiente e il Territorio. Una scelta solo in apparente contrapposizione perché gli ha permesso – studiando chimica, biologia etc – di «affinare alcune tecniche dei processi per la realizzazione del prodotto». «Il progetto – racconta – nasce 10 anni fa. Da allora mi sono sempre battuto – accantonando anche gli studi – perché vorrei che attraverso la mia passione, il territorio prendesse coscienza». Oggi, il marchio «permetterà di valorizzare l’Ammaccata sì, ma raccontarne anche la storia». Mi preme – prosegue – sensibilizzare anche chi già la conosce ma non la prende in considerazione».
Per la preparazione si attiene alla ricetta tradizionale, posseduta dalla sua famiglia, seguendo però tempi di maturazione innovativi. Utilizza grano duro saragolla e due grani teneri (risciola e carosella). Il loro sapore permette di non aggiungere sodio. La lavorazione va fatta a mano nella Madia, usando solo le dita delle mani. Del resto, quando si mette all’opera ripropone persino la stessa scena, perché hanno ottenuto il riconoscimento anche gli utensili (contenitori, pala di legno, prodotti…). Per la farcitura, rigorosamente prodotti a km 0, Slow Food e a marchio PNCVDA, in linea con la Dieta Mediterranea: «Questa scelta non nasce oggi e non è una moda passeggera. Il km 0 è una consapevolezza che mira alla crescita del territorio. Seguo con cura la coltivazione del mio orto. Spesso non è facile anche per i costi di produzione, ma io e la mia squadra ci impegniamo e vorremmo tanto che ci sia riconoscenza». Insomma, Cristian in questi anni ha desiderato che quei sapori, odori, gesti potessero essere compresi e vissuti dal consumatore, che spesso non ha la percezione di cosa sta assaggiando. Consapevole che l’Ammaccata può essere veicolo e volano per il Cilento e la Campania. Perciò, con fermezza conclude: «Non possiamo permettere che le nostre origini vengano distrutte. L’obiettivo del PAT è stato anche salvaguardare la sua identità, questo impone una preparazione degna di tutti i crismi, che desidero portare avanti».