di Antonio Pecoraro
Posto di frontiera nord Capaccio, dalla parte marina perché dalla parte interna la frontiera nord che porta alle autostrade nazionali è Ponte Barizzo. È ai limiti anche per denominarsi sub – contrada avendo poco più di 60 – 70 abitanti, anche se d’estate si popola per le numerose villette disabitate d’inverno. È sede dell’importante idrovora sinistra Sele e vive appoggiata come un gatto dormiente completamente sul fiume. Una stazione di carburanti che è una tappa obbligata per tanti automobilisti in direzione Salerno. Un bar che è l’accesso al varco di frontiera, al ponte che porta in aperta Piana del Sele e verso l’agglomerato macro – urbano del capoluogo di Provincia. Un albergo e qualche ristorante da tempo decaduti che ricordano i fasti passati di un ricco turismo composto da stranieri soprattutto, ai quali piaceva quel luogo frastagliato tra il delta del fiume e il mare aperto del tirreno con lunghe e vaste spiagge. Un campeggio con vari ormeggi barche che ancora resiste nonostante la crisi incombente del settore, dove si può assistere ai maestosi tramonti che s’affacciano tra mare e fiume. Un luogo che se esistesse in regioni come l’Emilia Romagna non sarebbe di sicuro alla decadenza e all’abbandono parziale. Bisognerebbe valorizzare un patrimonio naturale di rara bellezza come la foce del fiume più grande della Campania. Un’oasi naturale esistente vicino ai templi di Paestum, vicino al santuario e al museo narrante dell’Heraion e lontano pochi chilometri dal litorale alberghiero e discotecaro della contrada Laura. Un buon luogo per riposare e nello stesso momento vicino al centro urbano di Capaccio. Per un tipo di turismo che ama la natura e le bellezze archeologiche. Negli anni ’70 fu inaugurato il ponte sul grande fiume e Foce Sele diventò il punto di raccordo con la litoranea che ti fa raggiungere Salerno in tempo breve.
Oggi è meta di passaggio per lavoratori, camionisti, turisti col camper, commessi viaggiatori, impiegati, studenti in direzione Fisciano, donne in viaggio per shopping, come se fosse davvero un valico di frontiera. Un Bar storico che fa da postazione e garitta, dove incontri un’umanità vasta e variegata, vari tipi e personaggi, anche di quelli loschi, prosseneti semmai, forse, che interpretano il film maledetto della loro vita. Un miliardario da grattare, un Marlboro toste, un caffè e un Klen Krant che serve da accompagnamento finale al gusto della caffeina; la cinquanta euro appoggiata sul bancone attende il poco di resto che gli rimane. Dopo aver grattato e bevuto l’ultimo goccio del whisky pronunciato in maniera autoctona, rientrano nel Mercedes col rumore del cigolio della pompa del diesel consumata dal tempo e via ad attraversare la frontiera. Dopo alcuni chilometri, sono in aperta Piana del Sele, si affacciano al mondo reale: prostitute; avventori a 40 km. all’ora che osservano la mercanzia ai lati della carreggiata; immondizia ai bordi della strada, frutto di una mancata differenziata e rimandata per anni; ciclisti in entrambe le direzioni (rischioso con la bicicletta) a tempo di pedalata, che aspettano il ripristino della loro pista, la pista ciclabile; capannelli di immigrati che vegetano sul ciglio della strada come se aspettassero qualcosa che venga dal cielo, semmai aspettano solo poche ore di lavoro offerte da un caporale sotto le serre battipagliesi ed ebolitane. Insomma, la nostra Domiziana. La Domiziana della provincia di Salerno. Aldilà del grande fiume che funge da frontiera.