Quel fare successivo di gesti di sapiente manualità tesi al divenire di idee in opere proprie dell’antica bottega delle mani, così cara, una volta, agli “artifices de diversis artibus”, ha sempre suscitato grande interesse in Adriano Caffaro tanto da essere il filo conduttore di studi e acquisizioni di nuovi saperi nel corso della sua vita da ricercatore e docente di Storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università di Salerno.
Non gli fu, pertanto, difficile ideare “l’officina dell’arte” una felice sorpresa nel campo artistico universitario, offrendo contenuti capaci di costituire punti di riferimento indispensabili, anche a distanza di anni, sempre apprezzati e riconsiderati da numerosi studiosi. Da qui la realizzazione di pubblicazioni di grande prestigio scientifico e cognitivo quali il “Papiro di Leida” (che contiene antichi testi alchemici relativi alla produzione di tinture e leghe metalliche), “De clarea, manuale medievale di tecnica della miniatura”, “Isidoro di Siviglia” (vescovo che seppe incarnare la mirabile sintesi di spirito religioso e sapienza umana), il “libellus di Chicago”, ricettario di arte, artigianato e farmaceutica del secolo XV, e il volume “Compositiones ad tingenda musiva”, codice lucchese del 490.
Ma la sua opera monumentale, non solo per consistenza ma anche perché per la prima volta tradotta e pubblicata in Italia, ed è ancora oggi punto importante di riferimento di chi vuole avvicinarsi alla conoscenza delle antiche tecniche artistiche medievali, è stata il “De Diversis artibus” del monaco tedesco Roger di Helmarshausen meglio noto come «Teofilo, umile presbitero, servo dei servi di Dio, indegno del nome e della professione di monaco», un benedettino che applicava in pieno la regola “ora et labora” voluta dal fondatore Benedetto da Norcia. Scriveva Teofilo in apertura «nella consapevolezza che l’essere versati nelle arti è un dono di Dio, per cui a Dio va dedicato l’ingegno e la sua produzione.» Ed è, nei vari cenobi benedettini, un fiorire dell’arte della miniatura, della pittura, dell’oreficeria, in cui Teofilo era particolarmente preparato, e della metallurgia per la fusione soprattutto di campane.
Scrive Adriano Caffaro: «Teofilo ha la capacità di farci assistere e partecipare alla preparazione del modello in cera ed alla fusione di una grande campana, alla costruzione di un piccolo organo… E’ evidente il tentativo di Teofilo di offrire non solo una completa descrizione delle varie tecniche artistiche, ma anche un’indicazione su come i diversi ambienti d’opera debbano essere organizzati e possano efficacemente interagire. Spesso chi legge ha l’impressione di entrare nel vivo del processo lavorativo, di partecipare da protagonista competente alle fasi della produzione, di poter osservare quasi visivamente l’alacre attività che si svolge nell’officina. Non è facile non farsi contagiare con ammirazione dall’entusiasmo e dall’abilità descrittiva e pratica che Teofilo riesce ad imprimere alle pagine di tecnica applicata». E qui si tocca con mano con quanta, intima partecipazione il professore compiva le sue ricerche, i suoi studi, su un periodo della storia dell’uomo molto distante da quel diffuso concetto di buio sociale cui si pensava sinora potesse aver caratterizzato il Medioevo.
Ma prima di giungere alla “grande fatica” sul manuale di Teofilo, il Caffaro aveva dedicato le sue attenzioni a quegli insediamenti rupestri, a quelle laure monacali, luoghi di eremitaggio, ma anche di aggregazioni religiose per una ritualità privata e pubblica che si svolgeva in chiese tra rocce di cui è cadenzato il territorio della Costiera Amalfitana, del Cilento e in genere del salernitano: una realtà oltre il cenobismo, dove il monaco-eremita era più vicino al cielo che alla terra.
Ricorda il professore: «Il mio interessamento per questo settore, nasce da una richiesta che mi fece la prof.ssa Joselita Raspi Serra, titolare della cattedra di Storia dell’arte medievale e moderna, alla quale collaboravo, di preparare una relazione da presentare ad un convegno organizzato dall’Università di Messina su Basilio di Cesarea». Era questi un vescovo di grande spiritualità e sapienza, tanto da essere considerato il primo dei Padri Cappadoci, un gruppo di filosofi cristiani ellenistici formato da Basilio di Cesarea, Gregorio di Nissa e Gregorio Nazianzeno, riuniti in una sorta di famiglia monastica.
In quell’occasione, il Caffaro oltre a soffermarsi sugli insediamenti rupestri nel salernitano, spaziando dalla Costiera Amalfitana, territorio cui ha sempre dedicato, anche per uno spiccato interesse personale, una speciale attenzione (è del 1986 il volume “Insediamenti rupestri del Ducato di Amalfi”), agli insediamenti del Cilento e degli Alburni spingendosi sino alla Calabria, si soffermò su altri tre insediamenti rupestri: S. Angelo di Mezzo di Carpineto di Fisciano, S. Angelo dell’Ospedale di Ravello e S. Michele alle Grottelle di Padula.
«Nei recenti trascorsi anni ’80, per potenziare l’attività didattica della cattedra di Storia dell’arte moderna – ricorda Caffaro – l’allora Preside prof. Angelo Trimarco, mi chiese di realizzare un ciclo di lezioni su qualche argomento che incontrasse l’interessamento degli studenti. Spulciando vari testi, mi imbattei nell’interessante volume di Corrado Maltese sulle tecniche artistiche. Il ciclo di lezioni risultò tanto interessante che il Preside Trimarco e l’allora Presidente del corso di laurea in lettere, Massimo Oldoni, mi affidarono la cattedra di Storia dell’arte medievale. E fu durante questo ciclo di lezioni che mi imbattei nel testo “De diversis artibus” del monaco Teofilo»; Adriano Caffaro scoprì che di quel libro non vi era una edizione recente e soprattutto non vi era una traduzione in italiano.
«Fu così – dice il professore – che con caparbietà studiai il testo, realizzai una corposa introduzione e una completa traduzione arricchita da molti disegni illustranti i vari passi dell’opera di Teofilo e moltissimi disegni a stampa». Quanto fosse stato importante quel lavoro lo si riscontrò dopo poco tempo con l’esaurimento della pubblicazione.
Adriano Caffaro si è mosso in quel complesso, mistico, a volte segreto mondo religioso che coinvolgeva monaci ed eremiti, uomini che abbandonavano il temporale per dedicarsi all’eterno da raggiungere con la preghiera, ma anche con una manualità utile agli uomini del loro tempo e di molti anni futuri.
Un lavoro dotto, approfondito, alla ricerca di quel particolare che alla fine distingue e impreziosisce l’opera facendola eccellere.
Un’attività scientifica concentrata sul territorio salernitano e le sue varie manifestazioni storico-culturali rese, a volte, visibili attraverso l’organizzazione di interessanti mostre.
Indirizzando l’attenzione sul fenomeno insediativo in varie epoche storiche, gli è stato possibile completare e rinnovare il discorso critico, sollecitando nuovi e dinamici spunti di riflessione.
In definitiva al professore Caffaro è stato riconosciuto, con l’aver insistito sull’importanza dell’analisi incentrata sugli insediamenti rupestri, da considerare non marginale, di essere un riferimento stimolante e ricco di conferme per la ricerca scientifica.
A conferma di quanto sia importante e di quanto impegno Adriano Caffaro abbia profuso sul suo primario e più importante lavoro, quello sul monaco Teofilo – e non da meno per gli altri – bastano pochi dati: undici pagine di bibliografia con circa 450 autori citati. Un monumento alle varie arti che dal medioevo sono state privilegio di monasteri benedettini e che nei secoli hanno caratterizzato, soprattutto in Italia, la bottega delle mani di semplici, sapienti artigiani.
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