In questo periodo pasquale la nostra non può essere una vita statica e stagnante, segnata da stanche ripetizioni, generatrici di monotonia. L’esperienza liturgica della scorsa settimana invita a consolidare in noi la certezza che qualcosa di stupendo è accaduto. Cristo ha riportato per sé e per noi la definitiva vittoria sulla morte, motivo di gioia e di pace, dono ai discepoli. La nostra fede è tutta qui. Non è facile credere perché l’esperienza della malattia, della morte, dei condizionamenti dalla realtà sensibile inducono a ripetere, come dichiara l’apostolo Tommaso, “se non vedo, non credo”. Ma possiamo vivere accettando solo ciò che vediamo e tocchiamo?
Esistono realtà assai più profonde e più vere!
Tommaso cede all’esigenza dell’esperienza sensibile, allora la sua palese incredulità diventa un invito a riflettere per la nostra vita interiore con effetti corroboranti più della fede proclamata dagli altri discepoli, chiusi in casa per paura. Tommaso si rivela il migliore compagno nel nostro pellegrinaggio per costatare direttamente, non disposti a farsi condizionare dal “si è fatto sempre così” o dal “così hanno detto” e la logica del “voglio vedere, voglio toccare” viene soddisfatta solo quando si sente riecheggiare la voce di Gesù, pronti a fare la più completa professione di fede ed esclamare: “Signore mio, Dio mio!” Spesso, pur ritenendo di aver fede, cerchiamo puntelli per consolidarla. Essi coinvolgono per vie misteriose, sollecitano a cambiare vita, trasformano l’esistenza conferendole tono.
Gesù invita a non credere a occhi chiusi, ma andare in profondità e l’episodio del vangelo letto la scorsa domenica diventa una testimonianza dell’abilità del Risorto come educatore. Infatti, il comportamento di Tommaso prova che egli si è formato a una scuola che favorisce la libertà interiore al punto da rendere palese anche il coraggio di dissentire. Uomo di carattere, l’unico tra gli apostoli a uscire ed entrare quando desidera dal luogo dove si sono rintanati gli apostoli, Didimo non vuole vivere sotto chiave per timore dei nemici di Gesù. L’auspicio è formarsi veramente secondo questo stile. Anche da Risorto Gesù non impone, continua a proporsi, mostra le ferite della lancia e dei chiodi che restano per l’eternità sua gloria e suo vanto; egli rispetta coloro che fanno fatica a credere, che manifestano il peso del dubbio e considera beato chi ricerca la verità e, superata la fase delle incertezze che attanagliano la vita per aver incontrato lungo la strada il dolore, la sofferenza interiore, la morte, il male, ha il coraggio di ricominciare a credere.
Anche questi i sentimenti e considerazioni ha suscitato la lettera pastorale consegnata ufficialmente alla comunità, come dono pasquale, durante la messa crismale in cattedrale a Vallo. Il documento vescovile va letto con l’attenzione che merita, soprattutto perché si propone di sintetizzare il cammino della diocesi negli ultimi dieci anni divenendo una miniera di indicazioni, auspici, propositi, uno strumento per individuare sentieri da seguire ed una mappa per non disperdersi. Sembra che il taglio scelto sia quello notarile: proporre il bilancio di una presenza animatrice dell’azione pastorale negli ultimi due lustri. I paragrafi, dopo i saluti iniziali, delineano “uno sguardo grato al percorso fin qui fatto insieme”. Riportare le conclusioni dei convegni diocesani annuali aiuta a tracciare una linea tra propositi ed effettive realizzazioni, tuttavia va riconosciuta anche una certa inanità delle ”prime prove di sinodalità” se si prende come riferimento l’Evangelii Gaudium. L’uso del termine insieme può, probabilmente, risultare un po’ eccessivo, soprattutto se valutato in relazione alla consistenza delle presenze dei partecipanti agli eventi programmati.
Nel terzo paragrafo si decantano gli sforzi per costituire gli “organismi di partecipazione”, se ne fornisce un puntuale elenco; quindi, dal punto di vista formale, emerge che tutto è in regola. Il quarto paragrafo invita a “sognare” la missione. A giudicare dalle esperienze, non si comprende se sia un concreto proposito o l’occasione per una caleidoscopica opportunità di immaginarla e coinvolgere tutti evocando il dinamismo citato a pagina 18. Tuttavia, pare che non tutti in diocesi si siano accorti o siano riusciti a cogliere gli sforzi nell’approntare “le strutture a servizio della missione”. Intanto ai lettori è rivolto un “doveroso rendimento di grazie“ per il lavoro e il cammino fatto. Tra i fedeli sono contenti coloro che godono nel “conservare la speranza” in un futuro migliore, auspicio quanto mai necessario in vista della ripartenza dopo la pandemia. La drammatica circostanza è risultata anche una provvida foglia di fico rispetto al alcune reiterate oscitanze, come il bypassare il consiglio presbiterale proprio mentre si cerca di celebrare un sinodo! Nel settimo paragrafo si riassume il percorso di preparazione e di realizzazione, schemi e lezioni virtuali con un felice supporto informatico hanno scandito il lavoro per sollecitare “la consultazione del popolo di Dio”. Non è mancata la prudente precisazione che “Il Sinodo non è un parlamento, ma un esercizio di ascolto” (p. 23) non solo – come è ovvio per i cristiani – dello Spirito, ma anche dei fedeli, una opportunità per la verità molto circoscritta, condensata in pochissime occasioni e non necessariamente in tutte le parrocchie.
La generosità dello Spirito consentirà anche alla nostra diocesi di mostrare coerenza, vivere l’entusiasmo, testimoniare la creatività, non porre limiti all’audacia, come si legge a pagina 24; ma, se si deve applicare l’invito di Gesù a giudicare dai frutti, forse si è ancora in una fase di semina, sperando in un terreno favorevole, pronto a riconoscere spine e sassi per vivere finalmente “senza paura” il cammino sinodale. Sorge però spontanea la domanda: chi ha avuto veramente paura del sinodo? A questo proposito ci si prepara con ansia a conoscere il testo di sintesi del lavoro svolto dalle parrocchie e dalle zone pastorali. Sarà reso pubblico il prossimo 29 aprile. In attesa invochiamo ancora una volta l’ausilio dei santi che hanno un particolare rapporto con la diocesi: Matteo illumini la comunità nel leggere, per testimoniarlo, il vangelo; Costabile suggerisca a chi ne ha la responsabilità di organizzare la pastorale; Elena l’eremita solleciti la partecipazione moltiplicando le responsabilità da affidare alle donne; Nilo illumini nel mediare il processo di inculturazione; Giuseppe Moscati solleciti una partecipe empatia; Vito e Carlo facciano sentire protagonisti i giovani; Filadelfo consenta alla carità agapica di trionfare facendo onore al suo nome; Pantaleone, oltre ad infondere coraggio e determinazione a chi guida la diocesi, operi in tutti una radicale trasformazione rivelandosi veramente “Pantalemone” per far capire che gli ultimi dieci anni non sono passati invano.
Vallo della Lucania, 24 aprile 2022,
Domenica della
Misericordia
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