Dire che la TV fa pena è ormai luogo comune. Ma il concerto di Capodanno, quello non me lo perdo, fossi pure sotto l’aurora boreale. Quello di Rai Uno, con le arie del melodramma italiano.
Da cosa mi viene questa minipassione non so, visto che mai note musicali eccelse sono entrate nelle meningi d’infanzia, né poi. Eppure mi torna qualche scena, non so se raccontata o immaginata.
Un giovane ha da poco lasciato le greggi su terre dove prendeva a calci le pietre facendo attenzione a non rovinare le scarpe, o si allenava a lanciarle su bersagli difficili. Le stoppie della biada e le spine dei cardi, i dorsi nudi delle montagne, unici spettatori dei pensieri che andavano oltre l’abitato, oltre il cerchio di montagne conosciute passo passo, a immaginare il mondo.
Un mondo che incuteva timori e paure, su un treno per Firenze dov’era chiamato a fare il militare. Insieme alla curiosità della civiltà, della grande città con mille strade, lui col solo bagaglio di quarta elementare. Si ripeteva per darsi forza com’era stato bravo in italiano, in matematica, in geografia, come lo chiamavano sempre alla lavagna, sempre lui, quando entravano gli ispettori fascisti a controllare il livello dei programmi, e poi intascare due lire di premio. Ci aveva pianto, e ancora un po’ di liquido gli sale agli occhi, sul treno, a ripensare a quando dovette lasciare il suo banco in prima fila.
La guerra era da poco finita, bisognava dare le braccia.
«No, qui, vedrai non si sta male» gli ha detto un compagno, appena arrivato in caserma. «Solo che il generale è molto esigente. Tu devi dire sempre sì, quando ti chiede qualcosa. Per esempio, se devi consegnare un dispaccio a via dell’Oriuolo e lui ti chiede Sai dov’è? Tu dici Signorsì, anche se non la conosci, e poi inforchi la bicicletta e chiedi per strada, ai passanti. Basta che torni col servizio fatto. Vedrai, qui si sta bene, meglio che in altri posti».
Consiglio provvidenziale, e l’ha seguito. Però, che cavolo di batticuore ogni giorno, una delle prime volte aveva quasi buttato il berretto, per un indirizzo introvabile, col rischio di sforare l’orario, fino a quando poi ha imparato ogni cosa, conosce quasi tutte le vie. Un vero corriere di caserma. La domenica, si arrischia perfino a rubare una pastarella nella cucina, di quelle contate, sapendo che incolperanno un altro, il goloso che s’è fatto il nome.
Che bella cosa, pedalare per le vie, rallentare per guardare Palazzo della Signoria, e quel bel giovane di marmo davanti, o i colori del Duomo, e il Battistero. Alla Galleria degli Uffizi ci sono un sacco di vigili alle porte, si ferma, perché si sente da fuori la forza, lo scoppio di cento strumenti musicali in accordo, una meraviglia che riempie il palazzo e la testa, una cosa mai sentita così potente, e merita una sosta, sia pure da fuori senza biglietto.
«Entra, entra, se vuoi, non ti preoccupare» fanno segno le guardie vedendo la divisa militare, e parcheggiata la bicicletta ascolta e guarda per tutto il tempo possibile.
Torna pensando che le cose più preziose per l’uomo sono l’istruzione, il sapere, la bellezza, eppure …non toccano a tutti.Il sogno di ogni cilentano credo sia stato far studiare i figli, partecipare col proprio DNA all’onore del mondo.
Stavo andando a Firenze per un concorso e mi sentii chiedere un ricordino, una cosa piccola, da occhi che erano adulti e lucidi. Così bilanciando peso e prezzo, portai un quadretto con uno scorcio, al centro la cupola del Brunelleschi, in una piccola cornice di legno che ha voluto tenere sempre appeso sotto l’orologio, in bella vista, e c’è ancora.
Il concerto in TV sta per finire: hanno appena annunciato l’aria Libiamo, libiamo ne’ lieti calici che la bellezza infiora…
Il calice è pronto, non manca, e le bollicine salgono, tante, minute e allegre, verso il bordo.