Domenica scorsa abbiamo ascoltato nella Liturgia della Parola una parabola che ben si adatta alla nostra società dell’abbondanza. Gesù mette a confronto l’esperienza di un anonimo ricco, che rinviene nel denaro la propria identità, e Lazzaro (Luca 16, 19-31). Una prima annotazione va fatta a proposito del nome del povero: è l’unica volta che nelle parabole se ne fa uso, un modo per enfatizzare il significato di El’azar, Lazzaro appunto, cioè: Dio che viene in aiuto del bisognoso.
Dall’economo truffaldino della scorsa domenica, elogiato per la sua astuzia, Gesù passa a descrivere il ricco epulone che usa l’iniqua ricchezza per banchettare e così ostentare la propria posizione; festeggia se stesso ma, come afferma papa Francesco di tanti ricchi di oggi, è rimane ”solo col proprio egoismo, dunque è incapace di vedere la realtà”. Infatti, egli non nota chi giace come una cosa coperto di piaghe, più che un mendicante appare un essere abbandonato, le cui ferite sono leccate dai cani ai quali non ha la forza di contendere le briciole dei resti del banchetto. Gesù condanna il ricco non per la dovizia dei suoi averi, ma per la totale indifferenza; infatti, non ha un gesto, non rivolge una parola, non getta una briciola; il suo è un comportamento veramente contrario all’amore. L’indifferenza mostrata fa precipitare Lazzaro nella condizione di ombra fra i cani, il massimo del ludibrio nel contesto socio-culturale palestinese, che riteneva immondi questi animali.
Rispetto a questa situazione la parabola continua e, in una dinamica da contrappasso, descrive la collocazione dei due protagonisti ai due estremi della piramide sociale sulla terra e anche dopo la morte. Perdura la separazione iniziata durante gli anni della loro esistenza terrena, conseguenza del comportamento del ricco, nel quale sono stati assenti le azioni descritte da tre verbi: vedere, fermarsi, toccare, quelli che Gesù usa per esaltare l’azione del buon samaritano.
La parabola potrebbe terminare a questo punto, ma l’evangelista descrive la reazione del ricco epulone, un modo per rendere più evidente l’insegnamento. Vana la richiesta di sollievo, vana la preoccupazione per gli altri ricchi, i quali non potrebbero convertirsi anche di fronte al prodigio dell’incontro con i morti. Le Scritture sono chiare a questo proposito per rispondere alla domanda di senso da porre durante l’esistenza terrena; il grido dei poveri è la vera guida per approdare nel seno di Abramo. I fratelli del ricco continuano a usare male i beni, ciechi di fronte al povero così vicino e insensibili alle Scritture, chiarissime su questo punto. Il ricco non osteggia Dio e non opprime il povero, semplicemente non lo vede: ecco il pericolo della ricchezza, principale insegnamento della parabola. Perciò non serve avvertire i fratelli: hanno già Mosè e i profeti; necessitano di libertà per comprendere e lucidità per vedere.
Trending
- “Fiumi, Briganti e Montagne”: Il Salernitano tra storie e storia, coraggio, mistero e resilienza
- Orientamento scolastico, Valditara scrive ai genitori
- Un Re venuto a servire
- Il Collettivo Docenti di Sostegno Specializzati chiede al MIM di garantire i diritti dei docenti precari: presentata diffida formale
- OMEOPATIA E DOLORE AI DENTINI DEI LATTANTI
- Scuola: emendamenti ANIEF alla Manovra Finanziaria 2025
- Modelli internazionali per combattere lo spopolamento delle zone interne del Cilento, del Vallo di Diano e degli Alburni
- 30 milioni alle scuole carcerarie, un emendamento alla Legge di Bilancio di Italia Viva