Ripartiamo dal Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni per “marchiare” l’orizzonte del futuro prossimo e remoto che la Pandemia da Covid 19 ha apparecchiato per l’umanità.
Sia L’Unione Europea, sia L’ONU e quasi tutti i governi dei paesi più industrializzati hanno indicato come il prossimo ventennio lo spazio temporale entro il quale si dovrà riconvertire il modo di produrre, il sistema che consente alle persone e alle merci di movimentarsi e all’agricoltura per renderlo più sostenibile e green.
Lo “splendido isolamento” in cui ha vissuto il nostro territorio, Cilento, Vallo di Diano e Alburni, fino agli anni ’60 del secolo scorso che gli ha consentito di essere individuato e poi fatto destinatario di diversi riconoscimenti internazionali lo pone avanti nella rincorso di un futuro rispettoso dell’ambiente.
È un vantaggio che molti che ci osservano dall’esterno ci invidiano. I peggiori detrattori di questa condizione si trovano all’interno delle nostre comunità.
Non si tratta di una sparuta minoranza, ma il sentimento anti Parco è sedimentato in ogni strato sociale e perfino tra le giovani generazioni. Addirittura, anche i sindaci di molti comuni non perdono occasione per denigrare, unitamente alla gestione dell’ente, l’essenza stessa dell’area naturalistica che, insieme alle Aree Marine Protette di S. Maria di Castellabate e Costa Infreschi, è la più estesa d’Europa.
Il Parco, dopo essere diventato “maggiorenne”, avendo compiuto 20 anni dalla sua istituzione, è ancora percepito più come un impedimento allo sviluppo verso il futuro che come una grande opportunità per agguantare il treno dell’ineluttabile viaggio che ci aspetta viaggiando in prima classe nelle carrozze di testa.
I luoghi comuni che la vulgata mette in campo per denigrare l’esistenza stessa dell’ente sono innumerevoli … ma quelli che hanno più presa nelle comunità residenti sono legati a vincoli relativi alle costruzioni, i danni provocati dalla fauna selvatica, un comune sentire avverso a chi si trova al governo della struttura amministrativa e politica. Anche chi ha i maggiori ritorni d’immagine come il settore turistico non perde occasione per imprecare contro il “parco” perché fa troppo o troppo poco!
Nei primi 20 anni di vita l’ente ha avuto cinque presidenti, Enzo La Valva, Giuseppe Tarallo, Domenico De Masi, Amilcare Troiano e Tommaso Pellegrino, tutt’ora in carica. I direttori che li hanno accompagnati sono stati Domenico Nicoletti, Angelo De Vita e Romano Gregorio, oggi in carica.
Tutte persone che hanno avuto a cuore la “regione verde” affidata alle loro cure. Nonostante ciò, il risultato è quello evidenziato prima: una buona reputazione all’esterno del territorio e una scarsa consapevolezza della fortuna di vivere in un territorio bellissimo da parte dei residenti.
Eppure, mai come in questo periodo, la legge ha messo nelle mani dei sindaci dei comuni inseriti nel perimetro dell’area parco il governo dell’ente: il consiglio direttivo composto da 6 sindaci, compreso il presidente, e 3 componenti di nomina ministeriale. Inoltre, il Direttivo si avvale della collaborazione dell’assemblea della comunità del parco dove siedono, oltre agli 82 sindaci dei comuni, anche la regione Campania e la Provincia di Salerno tramite i suoi rappresentanti.
È evidente che c’è qualcosa che non funziona, è lampante che le cinghie di trasmissione tra i rappresentanti e i rappresentati è inceppata in più punti, è impressionante la differenza di intensità di impegno messa in campo tra il rapporto tra i sindaci e le comunità che rappresentano e quella approssimativa attivata tra l’ente parco e i cittadini, sempre gli stessi, che amministrano.
A conferma di ciò sta il fatto che l’ente Parco ha investito oltre 100 milioni di Euro in beni immobili situati in innumerevoli comuni. È facile immaginare che gli investimenti sono stati fatti in accordo con i sindaci che all’epoca erano al potere … eppure, anche in questo caso, il ritorno d’immagine è stato scarso se non controproducente
Si tratta di due pesi e due misure: da un lato c’è la quotidiana fatica di amministrare e fare bene, dall’altra si evidenzia una sostanziose disaffezione tra chi amministra l’area protetta e il territorio.
Questo scollamento non può essere colmato da rapporto diretto che associazioni, imprenditori e singoli cittadini hanno con l’ente sia inteso come struttura burocratica sia politica. Infatti, per la stragrande maggioranza si tratta di richieste di sostegno economico ad iniziative culturali ed enogastronomiche che popolano la vita dei comuni costieri e dell’interno.
Infine, quest’anno il parco ha dato mandato ad un Prof. dell’università di Caserta di rivedere il Piano del Parco. Tra le raccomandazioni date dal consiglio c’è la richiesta di un allentamento del “vincoli” burocratici che vesserebbero cittadini e imprenditori. Tutto nella direzione di “lisciare” il pelo agli insofferenti refrattari ad ogni regola.
Oggi, invece, si ha l’occasione per riposizionare l’ente con un approccio meno conservativo e più avanti rispetto a ciò che è stato fatto nel passato: uscire in campo aperto e schierare il Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni nelle avanguardie degli “eserciti” di chi vuole andare oltre l’esistente visto che il territorio ha tutte le “armi” necessarie per combattere pariteticamente con qualsiasi altra realtà mondiale che ha deciso di lanciare il cuore oltre la siepe dell’attendismo.
Bartolo Scandizzo