Prima di metterci in viaggio per l’Australia ho tentato di pianificare il viaggio nelle memorie di gente che non conosciamo da vicino. Sono certo che, al contrario, riconosceremo da lontano.
Sì, lontano nel tempo. Tutto quello che si frappone tra il giorno della partenza per un continente di cui poco si sapeva e, ancora oggi, si conosce per sommi capi.
Gina, mia moglie, è già la terza volta che attraversa il mondo intero per arrivare in Australia. Per me è la seconda … Anche se, nei miei sogni di ragazzo, giovane e adulto, per molte volte ho sognato di arrivarvi.
Ho anche letto dei libri che raccontano di questo, altro, nuovo mondo.
Ho ascoltato racconti di singoli e storie di comunità che qui sono arrivati come sbandati alla ricerca di un posto dove rigenerare la propria vita e ricrearne altre. In tanti ci sono riusciti: parlano tutti e molto della “famiglia”. L’ancora a cui hanno agganciato l’esistenza man mano che si rescindeva l’altra collocata in una realtà che ha dovuto espellerli per salvarsi e salvarli.
Per ognuna di queste persone gli sconvolgimenti si sono cristallizzati fino a diventare la propria storia anche da raccontare ai figli, che in gran parte ne sono stati co-protagonisti, e dai nipoti che accudiscono come mai hanno imparato a fare dai loro avi e nemmeno dai genitori.
Per quanto diverse fra loro, per ciascuna di queste persone le situazioni hanno rappresentato un crocevia, un passaggio verso un luogo dal quale non avrebbero più fatto ritorno. Naturalmente, simili cambiamenti – moltiplicati per migliaia di vite – hanno trasformato la nuova patria innestandovi il profumo di ginestra che si sono portati dietro dall’evo in cui erano bambini.
La storia non segue mai un corso prevedibile. È sempre il risultato di correnti e circostanze apparentemente casuali, il cui significato può essere determinato solo con il senno di poi. Ma anche tenendo conto della natura capricciosa della storia, l’evento designato come il sorgere della primavera australiana che difficilmente avrebbe potuto essere più improbabile per la loro vita. Ai tempi dell’arrivo avevano sperato solo di poter vivere dignitosamente, crearsi una famiglia e dare un nome ai figli che avrebbero continuato la storia di una venuta in una terra più madre che matrigna.
Nel mio girovagare in Italia e all’estero non ho trovato nessun’altra regione che sia alla pari dell’Australia. Altrove, nel nord Europa e nelle Americhe, del Nord e del Sud, le cose non sono andate in modo diverso.
Intanto, l’emigrazione era cominciata in epoche più antiche con altri numeri. Fino a creare intere comunità che hanno fatto parte, nel bene e nel male, dell’evoluzione storica di quelle nazioni.
Il modello che emerge è, ancora oggi, giovane. Relegato al un ruolo puramente economico impregnato di attività legate al settore secondario e, solo i figli e i nipoti, sembrano essere destinati al settore terziario.
Pochi sono stati gli sconfinamenti nei ruoli dirigenziali, università e insegnamento, e della classe dirigente, politica e amministrazione.
Infatti, quasi tutte delle persone presentate vengono da strati sociali che non hanno mai avuto il “potere” decisionale nelle realtà di provenienza. Le loro storie individuali si radicano nella più ampia storia di un’elevazione economica e di benessere, ostentato e diffuso, che appaga e rende liberi dalle condizioni difficili che li vide “approdare” nei porti di Fremantle a Perth, Melbourne, Sydney e Brisbane.
Il processo iniziò alla fine della Seconda guerra mondiale, quando uno degli alleati vittoriosi, la Gran Bretagna, che aveva durante internato nella sua colonia migliaia di prigionieri da destinare a sostituire le braccia dei figli dell’Australia che avevano imbracciato il fucile contro i Giapponesi. la guerra disseminò nelle sue colonie la gran massa di prigionieri di guerra. Anche se a Perth, esiste un club di Italiani dal 1934.
Molti tornarono a casa, alcuni restarono, altri ancora, dopo aver riabbracciato i propri cari in Italia, decisero che forse sistemarsi in un uno stato più grande di un continente, poteva essere quell’occasione che avevano cercato con la guerra coloniale italiana in Africa, e con l’avventura militare insieme alla Germania.
Questo fu solo l’inizio. Il primo rivolo che andò ingrossandosi man mano che chi era rimasto e chi era tornato a lavorare nelle piantagioni di canna da zucchero si era affrancato trasferendosi, a poco a poco, nelle grandi città a svolgere lavori artigianali necessari alla costruzione di case, fabbriche e building.
Il nucleo iniziale divenne, ben presto, una base d’appoggio portentosa su cui gli altri, quelli richiamati dai paesi rurali delle aree interne degli Abruzzi, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia, (pochi dalle città) poggiarono il piede per cominciare a camminare in terra straniera.
Lo schema, ovviamente, ha funzionato anche per le nostre comunità Cilentane e del Vallo di Diano. In seguito si sono sviluppati altri canali emigratori. Ma la famiglia è stata la vera rampa di lancio in un mondo che faceva “paura” sia per la lontananza sia per l’approccio lavorativo che non era certamente dei più facili.
A partire dall’aprile del 1950, quando la situazione cominciò ad assestarsi, in tanti si sposarono per procura e richiamarono donne dai paesi che si erano spopolati soprattutto di maschi in età di matrimonio. Il fatto che il numero delle donne sopravanzava in modo preoccupante quello degli uomini convinse genitori e figlie ad accettare matrimoni al buio. La creazione di nuove famiglie, la necessità di costruire nuove abitazioni dove sistemarsi, una certa agibilità economica fece sì che i richiamati della fine degli anni ’50 fossero scelti tra coloro che avevano imparato i lavori artigianali da impiegare nelle costruzioni: muratori, carpentieri, saldatori, falegnami, elettricisti … Poi arrivarono sarti, barbieri, meccanici … insomma, era la comunità che, lentamente, pretendeva di organizzarsi la vita richiamandosi alle abitudini della terra dei padri. Addirittura, oggi, c’è la replica delle feste fatte in paese come quella della Madonna di Costantinopoli di Rofrano, della Neve, di Sanza, di San Matteo di Salerno …
Molte le foto e i video che riprendono e fissano nel tempo un ampio ventaglio dei fatti accennati. La carrellata di immagini strappate alla cronaca di qui tempi andati, danno bene l’idea del passaggio da una situazione di necessità all’orgoglio di avercela fatta.
I conflitti avvenuti tra le comunità italiane, gli inglesi e i nativi nel corso dei precedenti cinquant’anni, sono un altro capitolo di questa storia tutta da raccontare.
Quando i numeri degli immigrati si fecero imponenti, non fu facile contenere rabbia e frustrazioni da una parte, dovuti al mancato riconoscimento del ruolo svolto per la crescita di una terra ricca di opportunità ma povera di risorse umane in grado di concretizzarle; dall’altra, le paure di chi aveva in mano tutte le leve del comando che, un po’ alla volta, capivano erano destinate ad assottigliarsi.
Abbiamo presentato i risultati di questo viaggio seguendo le sei tappe delle città dove siamo arrivati e dove abbiamo incontrato diverse comunità Cilentane. Le vite raccontate delle persone incontrate, intrecciate con i fili più spessi della storia, vorrebbero comporre un arazzo di un mondo che ha lottato e vinto la sua battaglia di riscatto per una vita dignitosa e d’integrazione. È la stessa gente che oggi lascia alle giovani generazioni il testimone da portare avanti con la consapevolezza del fatto che i loro progenitori sono stati parte determinante del successo di una nazione che ha avuto ed avrà molto da dire nel futuro dell’umanità.