Di Giuseppe Liuccio Il disastro ferroviario sulla linea Andria-Corato, in Puglia, e i relativi funerali pubblici, alla presenza del Capo dello Stato con il richiamo forte e duro, nella forma e nella sostanza, alle responsabilità della classe politica e imprenditoriale del Vescovo, Luigi MANSI, mi hanno suggerito una riflessione amara sul sottosviluppo del Mezzogiorno d’Italia, che ha suscitato apprezzamenti e consensi da parte di numerosi lettori. Vorrei ritornare sul tema, focalizzando però l’attenzione sulla mia terra, il Cilento, ponendomi domande che sono sulla bocca di tutti e sforzandomi di dare risposte credibili nei limiti delle mie possibilità e capacità. E chiedo scusa ai lettori se affronto temi che non mi sono molto familiari. E parto, come dicevo, da due domande quasi ovvie quando si parla del Cilento: Rendita o sviluppo? Risparmio o investimento? Ad un osservatore attento salta subito agli occhi che l’ambiente economico e sociale del Cilento è fragile sia sotto il profilo economico sia sotto quello finanziario: Eppure una certa “vivacità” di flussi economici ci deve essere se sul territorio operano sportelli di grandi istituti di credito e se, negli ultimi decenni, sono nate e si sono sviluppate numerose Banche di Credito Cooperativo. V’è, poi, chi fantastica di consistenti depositi postali sacrificati sull’altare della rendita parassitaria e sottratti allo sviluppo. Il discorso è serio ed importante ed impone più di una riflessione sul ruolo e sulla funzione degli istituti di credito per lo sviluppo di un territorio. È peccato antico quello delle grandi banche che hanno assolto, nel Cilento come nelle zone povere e sottosviluppate del Mezzogiorno, all’unico e poco lodevole compito di sportelli di raccolta e di drenaggio, con la successiva intermediazione in altre e quasi sempre lontane aree geografiche, del risparmio formatosi in loco, una forma di sfruttamento odiosa, ottusa e di corto respiro che ha, di fatto, represso ed ostacolato lo sviluppo. Prima o poi gli economisti più avveduti, seppellendo per sempre il meridionalismo querulo e lagnoso, dovranno fornire nuove, più convincenti e più moderne chiavi di lettura del sottosviluppo. Inchiodando alle loro pesanti responsabilità le lobbies finanziarie che hanno mitizzato e santificato la centralità del profitto a totale discapito della logica dello sviluppo, hanno prevalso le ragioni dei numeri e dei bilanci a danno dei bisogni e delle potenzialità degli individui e delle comunità. Ottusità e cecità di gestione che, non avendo creato occasioni di sviluppo, ha rinunziato a priori all’incremento virtuoso di nuovi flussi finanziari; spirale perversa che ha pilotato risorse verso aziende ed imprese estranee al territorio, aggiungendo ricchezza a ricchezza e lasciandosi alle spalle sacche sempre più numerose di povertà sempre più marcata. Per invertire questa tendenza, e rimuovere il monopolio delle grandi banche, supportare le piccole imprese nacquero le Casse Rurali ed Artigiane, oggi Banche di Credito Cooperativo. Alcune hanno svolto con lodevole impegno il loro ruolo e sono diventate punto di riferimento dei piccoli imprenditori. Altre, per megalomania, supponenza ed arroganza di presidenti e direttori hanno ripetuto in piccolo, gli stessi errori dei grandi istituti ed hanno finito per assolvere, anche loro, all’unica funzione di sportello di raccolta e di drenaggio del risparmio; hanno aperto raramente la borsa del credito e solo su sollecitazione del politico potente di turno o, peggio ancora, di qualche operatore economico dalle contiguità sospette. Non si è fatto con serietà un discorso sulla trasparenza e tanto meno sulla funzione e l’importanza del credito nel Cilento. Spesso presidenti e direttori sono asserragliati nei loro fortini e difendono con ostinazione in spiegabili ed assurdi privilegi, insensibili al nuovo che batte con forza alle porte e che finirà per travolgerli. Sei comuni soffrono spesso di municipalismo esasperato, le banche locali rischiano il suicidio per eccesso di individualismo e per la difesa tanto caparbia quanto sciocca e assurda dell’autonomia di un piccolo potere di decisione. Eppure la politica dell’Europa dovrebbe consigliare concentrazioni e fusioni per non rischiare l’espulsione dal mercato. Oggi il Cilento offre una infinità di possibilità e di investimenti. Manca la cultura di impresa. C’è la paura di rischiare, di innovare; e perdura l’assenza di una mentalità imprenditoriale moderna. Non c’è lo stimolo al rischio e all’avventura dell’investimento. Si privilegia il comodo ed asfittico rifugio nel risparmio e nella rendita parassitaria. Ma la miopia non è solo degli imprenditori, ma anche delle banche. Che dovrebbero fare di tutto per far nascere una nuova classe imprenditoriale. Ma, a parte qualche rara e lodevole eccezione c’è una sordità sconcertante a queste moderne forme di apertura da parte degli Istituti di Credito che operano nel territorio. Ed è difficile capirne la ragione. Ma qualunque essa sia, con questa mentalità non si va da nessuna parte, anzi si va da una parte sola: verso l’estinzione per inerzia e verso il baratro progettuale. Questo non è più tempo di attese, di incertezze e di ambiguità. Che ognuno faccia la sua parte, Io, operatore dell’informazione, non mi sottrarrò di certo al ruolo di stimolo e di proposta e suggerisco fin da adesso, prima che sia troppo tardi, un seminario trasparente e spregiudicato sul ruolo degli Istituti di Credito nel Cilento.
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