Il caldo soffocante di questi giorni mi ha consigliato di non uscire di casa se non per qualche servizio indispensabile alla sopravvivenza. Pertanto ho acceso il condizionatore al massimo, mi sono rifugiato nell’angolo preferito di casa sul divano del salone con vista giardino condominiale e viali attigui con lo scialo della fioritura e mi sono dato alla lettura, anzi alla “rilettura” visto che ho recuperato un bel libro di Massimo Recalcati “IL COMPLESSO DI TELEMACO” gradevole nella forma e ricco di messaggi, quanto mai attuali nel contenuto. Ne ripropongo qui di seguito, la recensione che ne feci qualche anno fa, quando apparve in libreria.
Ho sottomano un bel libro, molto problematico già nel titolo, “IL COMPLESSO DI TELEMACO”. Ne è autore Massimo Recalcati, psicanalista tra i più noti in Italia. Affronta, tra gli altri, il tema della eredità, partendo dalla psicanalisi per trasmigrare nella sociologia e, conseguentemente, nella politica. Gliene offre lo spunto una riflessione di Goethe citata da Freud: “Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo se vuoi possederlo davvero”. Di qui il paradigma, che acquista valore emblematico di eticità: l’eredità è una riconquista. Non un atto passivo di ricevere un dono, bensì un atto soggettivo di ripresa. L’erede è fuori dubbio il figlio che si appropria per legge del lascito del padre, ma anche una comunità che riscopre ed esalta l’eredità della storia ossificata in atti e comportamenti di intere generazioni e sacralizzata dalla tradizione. I miti e la letteratura ci hanno indicato tre modelli di figli/eredi che sono diventati punto di riferimento nel corso dei secoli: Edipo, Narciso, Telemaco.
Il mito di Edipo è noto. In sintesi narra che Edipo uccise il padre Laio per un contenzioso sul diritto di precedenza ad un quadrivio, fu acclamato re di Tebe e sposò la madre Giocasta, che ne era regina, e da lei ebbe dei figli. Il tutto inconsapevolmente. Quando l’indovino Tiresia gli svelò la verità, lui folle di dolore si cavò gli occhi e girovagò incapace di rassegnarsi alla vergogna del parricidio e dell’incesto che lo rese sposo della madre e padre dei suoi fratelli. E fu tragedia di fallimenti per la famiglia e per il regno. Il mito nella sua tragicità ha dato luogo ad un lungo dibattito sul “complesso edipico” con risvolti di ordine psicologico, sociologico e politico. Ma di sicuro, come erede, Edipo non è un modello positivo perché è furia di possedere tutto, di avere tutto, di sapere tutto, di essere tutto. Furia incestuosa, spinta a negare l’esistenza del limite, a rifiutare l’impossibile che la legge della parola inscrive nel cuore dell’umanità.
L’altra figura di figlio/erede è Narciso, vanesio ed infecondo, tutto preso dal protagonismo dell’apparire, si compiace della sua immagine che gli rimanda lo specchio dell’acqua, se ne invaghisce e si pavoneggia, tutto preso, compreso e soddisfatto dell’egotismo esaltato e megafonato fino al parossismo. Non ha memoria del passato e non si proietta nel futuro. Prende la vita come gioco e vive nella vacuità della totale mancanza di impegno: è il simbolo della evaporazione del padre, morbosamente malato dell’orgoglio della propria identità. È una personalità infantile, che non diventerà mai adulta. È bozzolo che non sarà mai farfalla e non conoscerà mai la feconda fatica ed il salutare dolore di esistere.
Terza figura simbolo di figlio /erede è Telemaco, cantato da Omero nell’Odissea. Di fronte allo spettacolo indecoroso dei Proci, che attentano all’onorabilità della madre Penelope, dilapidano le sostanze della casa del padre Ulisse, se ne contendono la sposa, le ricchezze ed il regno, aspetta ed invoca il ritorno del padre. Minerva, voce della coscienza (etica), della ragione (Legge) e del cuore (passione ed impegno civile) lo consola, lo scuote e lo motiva nel profondo sulle rive del mare. Coraggioso e fiducioso, parte per Pilo e Sparta alla ricerca del padre fino a quando non lo ritrova e con lui combatte per difendere casa e regno. È l’erede giusto, l’erede della riconquista e della riappropriazione. Tutti abbiamo aspettato un padre sulle rive del mare, che nella metafora è porta di casa o limite di accesso alla proprietà di famiglia (campagna, bottega artigiana, attività commerciale, studio professionale, ecc. ecc.) o semplicemente un libro per coglierne messaggi e valori, per riceverne il testimone e farlo proprio nella consapevolezza acquisita dell’impegno nella collettività.
Fin qui le notazioni per sommi capi della eredità di figli nella famiglia. Ma c’è una eredità più impegnativa, quella di cittadini in una collettività, piccola o grande che sia. Impegna tutti a qualsiasi livello ed, ovviamente, con diverse gradazioni di responsabilità. Ed anche nella collettività esiste l’erede Edipo che costruisce o ritiene di costruire le sue fortune politiche, nel senso di impegno nel governo della polis, eliminando il padre, cancellandone la memoria, con la presunzione che la storia cominci da lui. C’è il Narciso vanesio che si realizza pavoneggiandosi nella vacuità dell’apparire, completamente ubriaco di egotismo e totalmente improduttivo per la collettività. È un flatus vocis, che rotola e si frantuma nelle schegge dell’eco in fondo ai burroni, è luce riflessa nello specchio che rifrange luce, ma non riscalda, il fumo senza profumo. Pago di sé ma improduttivo per gli altri. E c’è, infine, il cittadino Telemaco, che cerca il padre per averne messaggi ed insegnamenti frutto di esperienza. Riconosce nel padre il maestro e guida e da lui vuole conoscere il passato della collettività che eredita, per impegnarsi ad esaltarla nel presente e consegnarla arricchita di nuovi valori (ricchezze materiali ed immateriali). Potrebbe e, secondo me, dovrebbe essere il vademecum di quanti operano nel e per il pubblico, da sintetizzare in quattro verbi: CONOSCERE, AMARE, DIFENDERE, PROPAGARE. Anzi Conoscere per Amare, Amare per Difendere, Difendere per Propagare. Ma in giro si agitano tanti Edipo con voglie mal represse di parricidi fisici e ideali, moltissimi, troppi Narciso, che si pavoneggiano senza pudore agitandosi nella vacuità dell’apparire. Ma non vedo molti Telemaco con la consapevolezza della ricchezza da esaltare nel presente e consegnarla al futuro come eredità di valori.
E questo è il quadro che offre il Cilento, che avrebbe bisogno di una PROGETTUALITÀ ad ampio raggio per volare alto. Se ne dovrebbero fare carico le istituzioni che contano o dovrebbero contare: IL PARCO, LE FONDAZIONI, I COMUNI, LA POLITICA, attraverso la deputazione regionale, nazionale, europea e i tanti, troppi, minuscoli centri di potere. Ma così non è. Putroppo! Che tristezza!!! Urge una RIVOLUZIONE PROFONDA E RADICALE DELLE COSCIENZE e la pratica vigile e costante dell’ETICA DELLA RESPONSABILITÀ. È l’augurio che faccio a me stesso, innanzitutto, e a quanti amano questa nostra terra bella, ma ferita nella sua dignità, nei suoi valori e nelle sue potenzialità economiche: la nascita degli eredi giusti per la riconquista e l’esaltazione dell’eredità, soprattutto dei valori, da consegnare con orgoglio ai posteri, sia privati che pubblici. Questo mio augurio è quanto mai attuale per il mio Territorio di origine, Capaccio Paestum e relativa Kora alle prese con il ballottaggio di domenica prossima per la scelta dell’erede giusto per amministrare una città/mondo che ci invidiano in tutti i continenti. E, secondo me, l’erede giusto, il Telemaco di turno, il Sindaco del fare e fare bene nel segno della Cultura, della Bellezza, e della Giustizia sociale è a portata di mano. Il tema mi affascina e mi riprometto di fare un viaggio motivato nelle istituzioni cilentane tutte: parco, fondazioni, consorzi, comuni e istituzioni politiche a tutti i livelli nella speranza di dare un contributo modesto ma carico d’amore per trovare l’erede/i giusto/i in questa seconda parte del 2017, che si preannunzia piuttosto inquieta e turbolenta in vista delle Elezioni Politiche Generali della prossima primavera.