di Diodato Buonora Per uno come me che, in pratica, ha fatto pochissime vacanze, trascorrere un periodo a New York è un evento a dir poco eccezionale e molto probabilmente irripetibile. Per questioni di spazio, sarò sintetico ma, come sempre, cercherò di trasmettervi le mie sensazioni sotto il profilo gastronomico, culturale e turistico. Da Fiumicino, 10 lunghissime ore di volo trascorse a guardare film ed iniziare a leggere un libro di Mauro Corona. All’arrivo, dopo una serie di severissimi controlli, ci accorgiamo che è stata smarrita una valigia. All’interno solo cose personali di poco valore, ma la cosa è antipatica. Dopo la prassi di reclamo, un taxi ed eccoci al nostro albergo sulla Broadway, il Crowne Plaza Times Square Manhattan. Siamo al 23° piano, una bella camera con vista da cartolina sui grattacieli newyorkesi e su Times Square. Il giorno dopo, cercato le cose necessarie per la pulizia personale, abbiamo fatto colazione al bar dell’albergo, cosa che non ripeteremo più: 16 dollari per 2 specie di cappuccino e 2 cornetti di qualche giorno. È il 24 novembre e negli Stati Uniti è il “Thanksgiving day”, il giorno del Ringraziamento. Si festeggia dal 1621, quando a Plymouth, nel Massachusetts, i padri pellegrini si riunirono per ringraziare il Signore del buon raccolto. Per i Nordamericani è un giorno molto atteso, in cui ci si riunisce attorno al famoso tacchino per ringraziare Dio, o la vita, o gli amici, o i parenti per ciò che si possiede. Ho avuto la fortuna di festeggiare questo evento in una famiglia di siculi-americani che avevo conosciuto lo scorso settembre in un noto albergo pestano. È stata una serata molto simile alla nostra Vigilia di Natale, dove ci sono state tantissime portate, vino e naturalmente il tacchino. Una bella esperienza. Non da meno è stato il pranzo. Dopo aver assistito alla tradizionale e bella sfilata di carri mascherati lungo tutta la Fifth Avenue, siamo andati al ristorante “Il Gattopardo” (54th St). Qui, l’executive chef è Vito Gnazzo, felittese da molti anni nella “grande mela”. Il locale è stato una sorpresa positiva sotto tutti i punti di vista: elegante, di classe, ottimo servizio, cucina superlativa, prezzi altini ma rapportati alla grande qualità della materia prima. In attesa della cena che ci aspettava, abbiamo ordinato solo 2 sogliole di Dover (freschissime), ma Vito ci ha voluto omaggiare dell’entrèe, del dessert e del vino, il Tramonti Bianco di Apicella. Veramente una meta che consiglio a chi passa da queste parti. Eccoci al 3° giorno, sono previste lunghe passeggiate. Voglia di caffè buono, cosa rara a NY, ed ecco che sulla “42nd St” vedo lo “Zibetto Espresso Bar”. Locale simile a un bar italiano con cornetti e dolci nostrani. Prendiamo 2 caffè (5$ + 1$ di mancia, in pratica obbligatoria dappertutto) e chiedo della toilette. “Non c’è” è stata la risposta. In Italia un bar senza i servizi igienici non lo farebbero aprire. La mattinata, dopo parecchi km, con visita alla Grand Central Terminal di NY (che è molto più di una stazione ferroviaria, pensate all’interno c’è finanche un campo da tennis, lampadari dorati e un cielo pieno di stelle che lo dimostrano) si è conclusa con la salita all’86° piano dell’“Empire State Building”, nel cuore di Midtown Manhattan, dove si può godere di un’indimenticabile vista a 360° di New York e dintorni. Piccola pausa e poi ancora passeggiate nell’affollatissima Times Square, quella che vediamo spesso in televisione con giganteschi cartelloni luminosi, “street food” e artisti di strada. La serata l’abbiamo conclusa al “Café Un Deux Trois”, sulla 44th St., tipico bistrot francese nell’arredo e nella proposta gastronomica. Qui, abbiamo preso un buon e tenero filetto di angus al pepe verde con delle pommes frites, accompagnato (per provarla) dalla birra Brooklyn. Ci voleva un po’ di “sostanza”, perché a pranzo ci eravamo accontentati di un hamburger da Mc Donald’s. 4° giorno. Iniziamo ad allontanarci dal centro e facciamo un abbonamento settimanale della “Subway” (metropolitana). Andiamo a “Little Italy”, quella che una volta era la piccola Italia. Oramai questa zona è ridotta ad un’unica strada, di poche centinaia di metri, con una serie di negozietti turistici e ristoranti. Basta poco per capire che di italiano non è rimasto niente. Sono quasi tutti stranieri. I ristorantini sono come quelli nostrani destinati unicamente ai turisti. Mi lascio tentare di entrare nel Bar Roma: ambiente squallido, antiquato, mal tenuto e nessun italiano all’interno. Avevo voglia di un caffè, non mi sono fidato ed ho preso una Pepsi. Poco vicino c’è Chinatown, il quartiere cinese. Qui invece sembrava proprio di stare in Cina, molto caratteristico. Poi, prima di andare al molo 83 per una breve crociera sul fiume Hudson, abbiamo preso un panino in un fast food (Sunac Natural Food sulla 42ª) e con tutta la buona volontà lo abbiamo assaggiato e buttato via. Molto bella invece la crociera che è durata poco più di un’ora. Siamo passati a pochi metri dalla Statua della Libertà e abbiamo visto NY sotto un’altra angolazione. Per la cena siamo andati alla Pizzeria San Matteo di Ciro Casella (2ª Av), un salernitano verace. Il locale è piccolo, ambiente nostrano, affollatissimo e offre una pizza così buona come è raro trovare dalle nostre parti. Curioso, su 7 tavoli, 3 erano occupati da salernitani. Bravo. 5° giorno, abbiamo attraversato a piedi il ponte di Brooklyn e visitato il “Prospect Park”. La sera, stanchissimi, optiamo per un ristorante vicino all’albergo: La Masseria (48th St.). I titolari sono di Bari e di Capri. Il personale quasi tutto italiano. Alle 18 e 45 il locale è stracolmo. Per avere un tavolo abbiamo aspettato (passeggiando a Times Square) un’ora. La cucina è semplice, tradizionale e ben fatta. Abbiamo preso un affettato misto e un saltimbocca alla romana. Niente da dire. Il cameriere che ci ha servito è siciliano, giovane e molto sveglio. È uno di quelli che il cliente te lo gira come vuole lui. Ci ha spiegato che il locale (che ha 110 posti) quotidianamente serve 100 persone a pranzo e circa 400 a cena. Complimenti. Per il momento NY è una bella esperienza. Sul prossimo numero la 2ª parte. Foto 1: Il felittese Vito Gnazzo, executive chef “Il Gattopardo” Foto 2: Ciro Casella, Pizzeria San Matteo, con il suo staff
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